(di Patrizia Pedrazzini) Incominciamo con una consistente dose di “Star Wars”. Aggiungiamo una robusta porzione di “Mad Max” (“Fury Road” soprattutto), seguita da una, più modesta, di “Terminator”. Innaffiamo il tutto con leggerissime spruzzate di “Blade Runner” e persino di “Matrix”. Avvolgiamo il composto in atmosfere impregnate di steampunk e di post-distopico. Affidiamo il compito di shakerare a un regista, il neozelandese Christian Rivers (Oscar agli effetti speciali per “King Kong”), con alle spalle, in qualità di produttore, qualcosa come Peter Jackson (bastino le due trilogie de “Il Signore degli Anelli” e “Lo Hobbit”), e una delle fanta-avventure fantascientifiche più attese dagli appassionati del genere è servita. Buoni contro cattivi, ribelli contro prevaricatori. L’amore che arriva al cuore anche degli androidi. La vendetta e il sacrificio. L’onestà costi quel che costi, la pulizia morale. E quel che resta del mondo, ancora e sempre, da salvare.
Tratto dall’omonimo romanzo fantasy (del 2001) di Philip Reeve, sceneggiato dal terzetto Jackson-Philippa Boyers-Fran Walsh (ancora “Il Signore degli Anelli” e “Lo Hobbit”), “Macchine Mortali” racconta di un futuro remoto nel quale, dopo la Guerra dei Sessanta Minuti, che ha quasi distrutto l’umanità e causato tremendi scombussolamenti geologici, le metropoli sono trasformate in enormi ingranaggi mobili, che vanno in giro per il mondo a “divorare” le città più piccole, destinate a fornire loro l’energia per sopravvivere. Londra è una di queste: gigantesca, spaventosa, un’immane piramide di case, strade, luoghi brulicanti persone, in cima alla quale troneggia, sinistra, la cupola della cattedrale di Saint Paul.
In questo inquietante scenario si incontrano due giovani: l’orfano, di classe inferiore, Tom (Robert Sheehan), e Hester (Hera Hilmar), una pericolosa fuggitiva segnata in volto da una cicatrice e con alle spalle un passato di dolore e di mistero. Niente sembra accomunarli, tranne la cosa più importante: il cuore puro. Non andiamo oltre, se non per sottolineare la presenza, nei panni del “cattivo” (un ambiguo archeologo) Thaddeus Valentine, di una vecchia conoscenza: Hugo Weaving, l’agente Smith di “Matrix” o, per tornare di nuovo a Peter Jackson, il Signore degli Elfi Elrond.
Costato 100 milioni di dollari, “Mortal Engines” (il titolo originale è tratto da un verso dell’Otello di Shakespeare, atto 3, scena 3), al di là dell’affascinante invenzione delle colossali città lanciate a tutta velocità su mastodontici cingoli nelle oscure lande desolate di un futuro lontano, è tuttavia ben lungi dall’essere sorretto da una sceneggiatura almeno all’altezza: i personaggi, a parte il malvagio Valentine, sono deboli, di una semplicità a volte disarmante; i dialoghi rasentano la banalità (“Colui che controlla questo, controlla il mondo!”, “Una volta entrati, non si torna indietro!”, “Valentine, questo è per mia madre!”); la crudele Londra (con qualche rimando alla Brexit) fa da contraltare al pacifico staterello himalayano di Shan Guo, nella vecchia dicotomia Occidente cattivo contro Oriente buono; il déjà vu è sempre lì, a fare capolino dietro l’angolo.
Ma l’universo steampunk è impagabile, e vale da solo tutto il film. Già di per sé ammaliante, nella sua commistione fra un’età storica, generalmente quella vittoriana, e tutta una serie di tecnologie futuristiche totalmente anacronistiche, tuttavia ad essa adattate (secondo il motto “come sarebbe stato il passato, se il futuro fosse arrivato prima”), questo particolare genere, affermatosi sul finire degli anni Ottanta, raggiunge nel film di Rivers livelli elevatissimi. Le metropoli turrite, i loro mondi sotterranei, i marchingegni bizzarri, le macchine volanti, le città sospese, la muraglia (eh sì, c’è anche un tocco di “Game of Thrones”), le armi vetero-fantascientifiche, i costumi, gli accessori. E, in mezzo a tanta creatività, il povero androide Shrike, che spegne nel buio i tristi occhi verdi, morendo per amore.
Per gli amanti del genere. E anche per gli altri.
Ecco la Londra steampunk di “Macchine Mortali”. Enorme piramide mobile che divora piccole città. Brexit permettendo
12 Dicembre 2018 by