(di Noblat) Scrivere di “Star Wars” è sempre difficile: che si tratti di una recensione, di un commento, o di un semplice appunto, ci si scontra sempre con la sacralità e la mole di un enorme, variopinto mostro cinematografico.
Un mostro che risulta decisamente longevo. Tra il 1977 e il 1983, la trilogia originale fece restare ben più di qualche spettatore a bocca aperta. Dal 1999 al 2005 venne invece rilasciata la trilogia prequel che, tra aspettative infrante e leggerezze, fece storcere il naso a molti. Infine, dal 2015 ecco la trilogia sequel, della quale è troppo presto per parlare essendone uscito solo il primo episodio.
E quindi? Questo “Rogue One: A Star Wars Story” dove si inserisce?
Quest’ultima aggiunta al mostro fantascentifico è il primo di un trio di film autoconclusivi volti ad approfondire determinati aspetti finora oscuri della galassia lontana lontana più famosa del cinema.
Chi è fan, chi ha un’ottima memoria o chi l’ha rivisto di recente, ricorderà che, all’inizio di “Una Nuova Speranza”, il primo film uscito nel 1977, i Ribelli erano entrati in possesso dei piani necessari a distruggere la Morte Nera, a costo di gravi perdite. Ecco, “Rogue One” va a spiegare proprio quest’aspetto.
Un padre (Mads Mikkelsen) che sacrifica tutto per la figlia. Una figlia (Felicity Jones) che da indifferente diventa capo e simbolo della Ribellione. Una spia (Diego Luna) con troppe azioni di cui vergognarsi che per una volta vuole fare la cosa giusta. Un Comandante Imperiale (Ben Medelsohn) spinto più dall’ambizione personale che dal Male fine a se stesso. E molti, veramente tanti altri personaggi (tra cui un Peter Cushing riportato magistralmente in vita dagli effetti speciali) che vanno a dipingere la variopinta immagine di un tempo oscuro, in cui i Cattivi hanno vinto e dominano davvero, non semplici antagonisti sullo sfondo di una storia.
La vicenda risulta quindi lineare e, conoscendo i successivi film, abbastanza prevedibile in fin dei conti. Ma come sempre è il modo in cui una favola viene raccontata a decidere se si è davanti ad un’opera per bambini e che deve divertire o a qualcosa di più. Per molti ancora è cocente la delusione provocata dall’Episodio VII, una sterile rivisitazione dei film precedenti diretta da J.J. Abrams dietro mandato della Disney di realizzare un film per famiglie, rilassante e spiritoso.
Ma almeno per “Rogue One”, anche se alcune scene sono state rifatte in quanto troppo cupe (e chissà da chi sarà partito l’ordine), si è in presenza di un film serio, a maggior ragione se ci si riflette sopra. Con alla regia Gareth Edwards (Godzilla, Monsters), la galassia lontana lontana mai è risultata tanto vicina. E un blockbuster fantascentifico è diventato un film di guerra. In “Rogue One” i Ribelli, molto in stile medio-orientale, sono veterani stanchi, né buoni né cattivi, forse qualcuno anche con un disturbo post-traumatico da stress. In un film di “Star Wars” si trovano scene quasi da guerriglia vietcong. Con un Impero che fa il Male, e lo fa bene, e una Ribellione che invece non fa il Bene, ma per la prima volta si dimostra più eterogenea, mostrando che non esistono solo eroi in una rivoluzione, ma anche assassini, ladri, truffatori, comandanti bugiardi. Niente a che vedere quindi con il clima della trilogia originale.
Tutto questo contribuisce a rendere “Rogue One” un film più unico che raro. Veloce, con tagli netti, a tratti bruschi, un montaggio particolare, le musiche affidate al compositore Michael Giacchino e non allo storico John Williams (e purtroppo la differenza si sente). Ma, soprattutto, un film cattivo, che non cade nel brutale, ma che risulta comunque sufficientemente cupo.
Fino al crescendo del finale, che da solo vale, se non tutto il film, quasi. È qui che quest’ultimo “Star Wars” batte il precedente episodio, altrimenti superiore in tutto, dalle musiche agli interpreti. Perché se è vero che Guerre Stellari da sempre è sinonimo di film per tutti, da altrettanto tempo è anche sinonimo di film non ridicolo. Infatti la Galassia lontana lontana di George Lucas, una Galassia che ha accompagnato intere generazioni, è sempre stata estremamente vicina vicina alle vicissitudini di questo mondo. E “Rogue One” si congeda, a differenza de “Il Risveglio della Forza”, con un messaggio più attuale di quanto si possa immaginare: le ribellioni si fondano sulla speranza. La speranza in un progetto più grande che merita il sacrificio, contro la mediocrità e la tirannia. E mai un invito a combattere strenuamente contro la pochezza è stato più attuale.