Elogio della pazzia a teatro. Fino all’Enrico IV di Pirandello. Un superbo Eros Pagni (discutibile la regia di De Fusco)

MILANO, mercoledì 23 febbraio (di Paolo A. Paganini) – La pazzia ha sempre avuto un ruolo prediletto sui palcoscenici. Fin dai tempi di Dioniso, tra Baccanti, Coefore, Erinni ed Eumenidi. Da Eschilo a Sofocle. E tra ignominie di sangue, vendette e crudeltà. E saltiamo pure Clitemnestra,
Antigone, Fedra e Medea.
Ma c’è anche una follia divina, che rende buono il disordine mentale delle umane genti, tramutandolo in dono intellettuale dell’artista e dei poeti alla ricerca di una impossibile felicità. Ah, il furor poeticus, dell’Orlando furioso e di Don Chisciotte.
E poi, passando dall’allucinazione alla ragione, dalla follia alla saggezza. E viceversa, ecco Amleto, o Lady Macbeth, quando la maschera della pazzia viene indossata per avere la libertà di dire tutto quello che si pensa, e di perpetrare vendette, o di scoprire occulte verità e ingiustizie. Quasi uno stato di grazia, che, ben prima dell’Elogio della follia, di Erasmo da Rotterdam, fece dire a Platone: “La saggezza proviene dall’uomo, la follia dagli Dei”.
Deve passare ancora qualche secolo prima che il dott. Freud metta tutto a posto con i suoi “complessi di Edipo”.
Nel frattempo dirà la sua anche Eduardo, che, in “Uomo e galantuomo” (1922), narra la storia della finta pazzia di un capocomico, in una compagnia di guitti, per salvare l’onore dell’amante.
E, intanto, ora attesissimo, ecco il genio di Pirandello, con il suo “Berretto a sonagli” (1917), tra vite private, triangoli, tradimenti e ipocrisie sociali. Ed ecco la signora Beatrice, che tutto denuncia, e che finisce in manicomio come pazza, il buon nome della famiglia è salvo. E poi “Così è se vi pare” (1918) e “Ditegli sempre di sì” (1927). Nella prima, i due protagonisti, la signora Frola e il signor Ponza, si rinfacciano la loro reciproca pazzia, “creando lei a lui, o lui a lei, un fantasma che ha la stessa consistenza della realtà”, dirà il personaggio di Laudisi. E, la seconda, dove il protagonista, un pazzo socievole, tranquillo, gentile, viene dimesso dopo un anno dal manicomio. Ma la sua mente, un po’ alla volta, lo porta a confondere i pensieri con la realtà. Facendo dire a Eduardo che “i veri pazzi sono liberi fuori, mentre i normali dovrebbero essere rinchiusi, perché il mondo reale è il vero manicomio…”
Infine, dopo tante ciance, il capolavoro del pirandellismo, con quella specie di epopea della follia: “Enrico IV” (1921). Narra di un giovane aristocratico che, durante una mascherata a cavallo, cade. E per dodici anni, persa la ragione, si crede l’imperatore Enrico IV, vivendo recluso in una finta corte di dignitari. Infine, guarisce, e per altri otto anni continua a fingere di essere pazzo, irridendo quella sua fasulla corte di burattini. Il terribile gioco di quella coatta follia verrà poi svelato a un gruppo di visitatori, tra i quali la presenza del “nemico”, che per scherzo l’aveva fatto cadere da cavallo. E, in un momento d’ira, lo accoltella a morte. Adesso sì che Enrico IV dovrà scegliere e accettare per sempre la sua condizione di folle…
Nella superba, umana, commovente interpretazione di Eros Pagni, un Enrico con la mente malata, ma infine guarita, sottile e perfidamente crudele in un perfido gioco al massacro, dove vengono demolite una dopo l’altra le maschere di quella compagnia di visitatori e di amici, ipocriti, fasulli, che han lasciato lui invecchiare e marcire tutti quegli anni, ormai incanutito e stanco.
La sua corte è la sua prigione-rifugio. Mentre gli altri, marchesi, baroni, ex amici, donne amate, tra baldracchismi, ipocrisie conformistiche, feste e chatillon, hanno lasciato e dimenticato lui, ormai vecchio e finito.
Ma con in serbo la terribile carta della vendetta…
La regia di Luca De Fusco è genialmente veloce e sintetica. Apprezzabile. Ma, qua e là, ha usato pesantemente l’accetta, togliendo ogni accenno alle sottigliezze e al piacere logico e disquisitorio di Pirandello. Compreso l’incomprensibile finale. Oh perbacco. Ma Belcredi, alla fine, sarà colpito a morte, o no? E che fine ha fatto lo straziante grido di dolore di Donna Matilde fuori scena? Lasciati nel testo. Però ci sono mancati, ora, al Manzoni, dopo un’ora e venti senza intervallo.
Ma che grande festa, a teatri riaperti, riprendere vita, ora, con Eros Pagni e con l’affiatata e pregevolissima presenza dei compagni di lavoro. Da non perdere.

“ENRICO IV” di LUIGI PIRANDELLO – Adattamento e regia: LUCA DE FUSCO – Scene e costumi: Marta; Crisolini Malatesta- Luci: Gigi Saccomandi – Musiche a cura di Gianni Garrera – Aiuto regia: Lucia Rocco. Con: Eros Pagni (Enrico IV); Anita Bartolucci (La Marchesa Matilda Spina); Paolo Serra (Barone Belcredi); Valerio Santoro (Il Dottore); Gennaro Di Biase (1° Consigliere); Matteo Micheli (2° Consigliere); Alessandro Balletta (Marchese Carlo di Nolli); Alessandra Pacifico Griffini (Frida). Teatro Manzoni, Via Manzoni 42, Milano. Tel. 02 7636901. Repliche fino a domenica 6 marzo.