Emma Bovary, simbolo di ogni perversione o vittima di un marito che non l’appaga? A Louise J. Kaplan la risposta

perversioni 1(di Andrea Bisicchia) Nietzske, facendo annunziare dal suo  Zarathustra la morte di Dio, credo intendesse alludere alla morte di una maniera di concepire la metafisica. Annunciando la morte del desiderio, Louise J. Kaplan (1929-2012), nota psicoanalista statunitense, nel volume: “Perversioni femminili. Le tentazioni di Emma Bovary”, Cortina Editore, credo intendesse sottolineare il trapasso che dall’amore conduce alla perversione. Ci si potrebbe chiedere, allora, se le origini della perversione fossero di natura sessuale o se rimandassero ad altre concause.
Generalmente la si considera un atto fantastico, grazie al quale si può immaginare qualcosa che non si può avere, una relazione che non si può realizzare, un desiderio distorto che nulla ha a che fare col desiderio puro. Se vogliamo, anche il desiderio distorto appartiene all’atto immaginativo, essendo collegabile a una specie di idolo di cui si va in cerca grazie all’intervento della fantasia, un idolo che raramente corrisponde alla verità. La perversione potrebbe, quindi, essere generata da una deriva idolatrica, tanto che non è più importante che l’idolo, a cui si fa riferimento, sia bello o brutto, grasso o magro, giovane o vecchio, l’importante è che ti faccia sognare strani accoppiamenti.
Si può avanzare l’idea che il desiderio sia una forma immanente e che la perversione sia una forma trascendente, poiché, trasformando l’ideale in idolo, lo fa diventare un vero e proprio assoluto, dentro il quale è permesso fantasticare, attribuendo nel contempo al feticcio un potere terapeutico. La perversione diventa una malattia, da curare clinicamente, quando degenera o si autoalimenta, pensando continuamente al proprio oggetto del desiderio, finendo, così, per trasformarsi in patologia. L’autrice fa ricorso ad alcune eroine della letteratura, da Emma Bovary a George Sand, alle “Piccole donne” della Alcott, per poter sottolineare la sua tesi, benché non nasconda la predilezione per Emma, che ritiene il modello dell’adultera che sogna tutti i tipi della perversione borghese, generati da una serie di concause: crisi del matrimonio, volontà di sentirsi libera, uso dell’adulterio come forma di vendetta nei confronti del marito che non l’appaga, voglia di perversione dopo tanta normalità, desiderio di smantellare l’unità familiare, concepita come una gabbia. Per poter tradire e credersi nel giusto, Emma utilizza un repertorio caro a tutte le donne adultere, grazie al quale alternano l’insoddisfazione con la rabbia, la collera con l’odio nei confronti del marito, reo soltanto di non averle saputo dare la felicità che solo l’amante (finché dura) riesce a darle.
Nel romanzo c’è anche il venditore di felicità, il mercante che farà indebitare Emma, indicandola come l’antesignana di tutte quelle donne che cercano, nei beni superflui, un proprio riscatto. Già, nel tardo Ottocento, creare desideri era il motto dei venditori di felicità. Oggi la società consumistica e post capitalista non fa altro che creare dei desideri non necessari, sempre più artificiali e superflui, ricorrendo a tentazioni visive per fare abboccare alle cose inutili, frutto della mercificazione di tutto, il cui momento estremo è la mercificazione del corpo. Il metodo psicanalitico permette all’autrice di dimostrare, attraverso fonti letterarie, epistolari, come la perversione femminile fosse ben diversa da quella maschile, perché meno libera da quel sistema familiare e sociale che l’aveva relegata a un ruolo di subalternità sessuale, generando tanti “piccoli assassini dell’anima”, fonte di tutte le psicopatologie.

LOUISE J. KAPLAN, “Perversioni femminili. Le tentazioni di Emma Bovary”, Cortina Editore, 2015 – pp. 346 – € 25,00