(di Andrea Bisicchia) – Per capire il Simbolismo a teatro, non si può fare a meno dell’opera di Maurice Maeterlinck, in particolare dei suoi testi brevi, nei quali, l’autore, non finisce mai di indagare il mondo frastagliato della psiche umana, ovvero di quel cono d’ombra, dove si trovano racchiuse le nostre ansie, le nostre angosce, le nostre attese dinanzi al mistero della vita e della morte.
C’è da dire che le opere di Maeterlinck sono, da parecchio, assenti sui nostri palcoscenici, eppure si tratta di un autore che potrebbe interessare alle nuove generazioni se smettessero di parlare di loro stessi e, magari, scegliessero di confrontarsi con un poeta della scena che sa affrontare temi e valori universali, grazie all’uso accorto della simbologia, componente necessaria per chi va alla ricerca dell’oltre e del Destino di ogni essere umano.
Bisogna essere, pertanto, grati all’editore La Noce d’Oro, per aver pubblicato una “Tetralogia” che raccoglie alcuni capolavori che mescolano l’andamento fiabesco di “Le sette principesse” e “Alladine e Palomides”, con quello esistenziale di “L’Intrusa” e “Interno”, con la traduzione di Giulia Giusti, che ben si adatta al palcoscenico.
In tutti i testi, prevale il sentimento dell’attesa, con la consapevolezza che stia per accadere qualcosa di irreparabile, da attribuire alla morte, sempre partecipe, come una presenza oscura, sulla soglia di vecchi castelli o case di povera gente. È proprio l’attesa il sentimento che attrae, che coinvolge, perché trattasi di una attesa di tipo ontologico, non molto dissimile da quella proposta, parecchi anni dopo, da Beckett. I quattro testi, raccolti nel volume, costituiscono un modello insuperabile di questo sentimento, frammisto all’angoscia di chi intende opporsi a chi vuol varcare la soglia di un vecchio castello, con i suoi sotterranei, con i suoi misteri, con re e regine attardati, osservati alla fine del proprio mandato, con storie d’amore tormentate, con delle principesse che attendono, dormendo, l’arrivo del principe, in una atmosfera decisamente onirica, non dissimile da quella degli interni di vecchie abitazioni, dove si percepisce un mondo prossimo alla fine, nel quale le “Intruse” fanno sentire la loro tragica presenza.
Ciò che interessa a Maeterlinck è creare un rapporto tra visibile e invisibile, come se ci si trovasse sull’orlo della vita. Vengono in mente le parole che il Mago Cotrone rivolge alla Contessa nei “Giganti della montagna”: “Siamo qua come agli orli della vita, Contessa, gli orli, a un comando, si distaccano, entra l’invisibile, vaporano i fantasmi”. Ecco, anche nel Teatro di Maeterlinck si avverte continuamente l’invisibile, mentre “l’orlo” è semplicemente la “soglia”, difficile da attraversare, perché si tratta di un vuoto in cui albergano i sogni, dove le attese sono fatte di trepidazione e dove le favole si mischiano con le tragedie, causate da sventure che non conosciamo, ma che colpiscono i personaggi, diventati ombre di se stessi, essendo condannati a non vedere o a essere ciechi, col potere, però, della veggenza, come accade col vecchio cieco dell’”Intrusa”.
Insomma, ci si trova dinanzi a un teatro di porte e di cancelli che si aprono e chiudono, tra silenzi metafisici e persone che si muovono come marionette, senza passione, in cerca, non della vita, ma di una visione della vita che si mostra sempre diversa da quella che appare.
È forse venuto il momento per riscoprire questo grande e ineguagliabile, nel suo genere, autore.
Difficilmente se ne rimarrà delusi.
“TETRALOGIA SULLA SOGLIA” di Maurice Maeterlinck, traduzione di Giulia Giusti, edito da “La Noce d’oro” 2022, pp. 256, € 18.