(di Andrea Bisicchia) I due brevi saggi di Edgar Morin, pubblicati a caldo, durante il Maggio parigino, sono stati appena ristampati dall’editore Cortina, non tanto come un tributo a quel periodo, forse irripetibile, quanto come riflessione in un momento in cui le nuove generazioni vivono un periodo di stallo, di inettitudine, come se fossero stati anestetizzati da poteri occulti che, quotidianamente, attraverso, i loro mezzi di informazione, rendono inattiva ogni forma di ribellione. Cosa fu il maggio ’68? Certamente un tentativo di cambiare la società, ormai usurata, incapace di proporre formule nuove che potessero rinnovare lo spirito del tempo.
In verità, quando ancora la globalizzazione non era nota, proprio per la complementarietà degli eventi che travolsero le Americhe, l’Asia, e l’Europa, si può ben dire che si trattò di un cambiamento di civiltà, generato dalla protesta sociale, oltre che culturale e linguistica.
Anzi, fu proprio il linguaggio a creare slogan che divennero comuni a tutte le classi sociali di quel tempo, formate da studenti, operai, piccoli borghesi, tutti in cerca di riconoscimenti essenziali per una rinascita che, prima di tutto, voleva essere di carattere intellettuale. Gli slogan puntavano alla fantasia al potere, all’occupazione delle sedi universitarie, delle industrie, alla profanizzazione di ogni forma di religiosità, con la conseguente desacralizzazione, al rapporto tra utopia e distopia.
La rivolta fu di carattere studentesco, la cui ideologia richiamava quella di tipo operaista. Le sedi da scegliere furono quelle delle cattedre di sociologia, che divennero luoghi di politicizzazione di ogni problema, in primis, quello di prendere di mira ogni forma di autorità, scegliendo o proponendo più autonomie, più libertà, più comunità. A dire il vero, il movimento sessantottino non nacque con intenti dichiaratamente politici, fu la polizia ad infiltrarsi con i suoi servizi segreti, ma anche con certi suoi rappresentanti che cercarono di farne un uso personale, a renderli tali.
Edgar Morin analizza i ritardi che si erano accumulati nelle società, dato che i problemi da risolvere venivano sempre rimandati e dato che le istituzioni finirono per mostrarsi inadeguate, generando quel disagio che si trasformò in rivolta, grazie anche alle feste musicali che coinvolgevano centinaia di migliaia di giovani in cerca di nuove inquietudini e di nuovi desideri, agguerriti nel voler sconfiggere tabù come quelli del sesso e persino della morte, proprio perché bisognava mettere in discussione tutto. Morin si chiede: fu vera gloria?
In verità, a suo avviso, il Maggio parigino fu una “breccia” che permise un cambiamento riguardante il rapporto uomo-donna, oltre quello con la natura, con la cultura e, in particolare, con la precarietà, diventando, quest’ultima, la vera protagonista del 2018.
La situazione italiana fu ben diversa da quella francese, dato che, dopo la situazione del ’68 seguirono gli anni di piombo e quelli del terrorismo di cui stiamo celebrando le nefandezze, proprio nell’anniversario del delitto Moro che coincise con quello di un allora giovane sconosciuto: Peppino Impastato.
Edgar Morin, “Maggio 68. La breccia”, Cortina Editore 2018, pp 124, € 11.