FIRENZE, venerdì 11 novembre ► (di Carla Maria Casanova) – “Ernani”, il bandito verdiano, è sbarcato al Teatro del Maggio fiorentino, sala Zubin Mehta, dopo quasi 60 anni di assenza (1965). Io mi vanto di aver assistito alla precedente epocale edizione fiorentina (1957), il cui cast faceva così: Mario del Monaco, Ettore Bastianini, Boris Christoff, Anita Cerquetti. Direttore Dimitri Mitropoulos. Di quell’evento storico (allora era normale; basti dire che dal 1955 la Scala ogni stagione aveva in cartellone quattro opere con protagonista Maria Callas…) di quell’Ernani, dicevo, ricordo persino il mio vestito, quando non saprei dire cos’avevo indosso ieri. Era una domenica pomeriggio e c’era il sole. Al termine della recita andai ai camerini degli artisti ma – fatto significativo considerando i lì presenti miei idoli del Monaco e Bastianini – feci la fila davanti al camerino di Mitropoulos, per l’emozione di potergli stringere la mano. Ricordo un uomo amabile e cordiale. Sgranava meccanicamente il grande rosario orientale. Quattro anni dopo mi sarebbe toccato vederlo stramazzare dal podio, durante una prova del concerto alla Scala: forse uno dei momenti più angosciosi della mia vita.
O rimembranze.
Torno all’Ernani di ieri sera. Niente paragoni per carità.
Dettaglio ameno: la spiritosa Maria Josè Siri (Elvira), presenza costante al Maggio e nei grandi teatri internazionali, si è presentata alla conferenza stampa in tacchi a spillo e vestita come una bambola ucraina. In scena è meno stravagante, con indosso un sia pur vistoso costume bianco ottocentesco (costumista Silvia Aymonino). Senza velleità interpretative, la Siri ha usato correttamente la sua voce sicura di “donna forte”, come lei ama definire indistintamente tutti i suoi personaggi. Elvira, protagonista femminile, donna particolarmente forte non è. Amata da ben tre pretendenti, finisce per non averne nessuno, ma non per colpa sua. L’amato Ernani (lui sì uomo forte tutto d’un pezzo) si elimina da sé per prestar fede a uno sconsiderato giuramento d’onore stipulato con il rivale Silva e lei, ma la storia non lo dice, magari finirà proprio nell’“aborrito amplesso” del suo designato sposo Silva, il pretendente più probabile, visto che il terzo è Don Carlo re di Spagna, e la Storia bisogna pure rispettarla.
Francesco Meli (Ernani) genovese, è il tenore italiano più acclamato del momento. Iniziato giovanissimo al canto, festeggia i suoi 20 anni di carriera, di cui 18 di collaborazione con la Scala dove ha interpretato ben 20 ruoli. Ha, a suo attivo, molti Ernani. Meli è persona garbata e cantante pregevole, con repertorio soprattutto verdiano. Difetto: non stravolge e ben sappiamo quanto nella lirica bisogni stravolgere per essere proprio qualcuno. Ma vediamo di non lamentarci, con i tempi che corrono.
Roberto Frontali (don Carlo, re) baritono collaudatissimo in campo internazionale, possiede un curriculum da far girare la testa. Ma ieri sera non era nei suoi giorni migliori.
Infine il basso ucraino Vitalij Kowaljow (de Silva) che, nonostante quella faccia da ragazzo, si aggira sui 50. Ha interpretato oltre 40 ruoli in gran parte verdiani e wagneriani (è stato Wotan alla Scala nella Walkiria inaugurale del 2011). Il suo nome (forse un tantino ostica la pronuncia) incomincia a girare veramente adesso. Possiede un timbro bronzeo sontuoso, il più gradevole da ascoltare, nel cast di questo Ernani.
Sul podio c’è James Conlon (New York, 1950) che abborda Ernani per la prima volta, nonostante gli oltre 500 titoli verdiani diretti. Il Maestro fu scoperto dalla Callas durante una prova del master da lei tenuto alla Julliard School. Disse la Divina “questo ragazzo è da tenere d’occhio. Molto preparato”. E per lui fu il lancio. Dopo il debutto con la NY Philarmonic (1974), ha diretto le più grandi orchestre Internazionali. Dal 2016 al 2020 è stato direttore principale dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai di Torino. Insignito di 4 lauree honoris causa, della Legion d’onore (2002) e dal 2018 Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Conlon è un signore minuto ma con impavida grinta, a giudicare dal ritmo serrato che ha impresso all’Orchestra del Maggio per questo titolo verdiano non di largo consumo. Sembra scritta per soddisfare un pubblico smanioso di pezzi a effetto: arie, assieme, cori – Mercè diletti amici (Ernani), Surta è la notte (Elvira), Oh dei verd’anni miei (Carlo), Infelice e tuo credevi (Silva), Si ridesti il Leon di Castiglia (Coro): tutte pagine entrate nel repertorio popolare. Nell’800, infatti, il suo bel successo l’ottenne. Poi però…
Adesso, diciamocelo: Ernani (dal dramma di Victor Hugo), non è una bella opera. L’azione è rapidissima, nessuna situazione di stasi. Con questa cavalcata mozzafiato (nel senso che non ti lascia respirare) di note, acuti, cabalette, è pane per i denti dei detrattori verdiani che in lui vedono il vessillifero del zumpapa. Il Coro, diretto da Lorenzo Fratini, e tutti quanti, si sono spolmonati con vigore. C’era per caso un innalzamento di suono, in sala?
Ma il Verdi di Ernani (sua quinta opera) era ancora giovane. E la zampata del genio arriva nel quarto (ultimo) atto – La Maschera-. È atto breve, tutto centrato sul terzetto Ernani/Elvira/de Silva. Qui, inattesa, insperata, si snoda una melodia struggente: il suono lontano della festa di nozze, il duetto d’amore, il fatale risuonare del corno e l’apparizione di Silva, poi la morte di Ernani chiudono l’opera con un equilibrio magistrale, quello che ritroveremo appunto nel grande Verdi.
I tre interpreti di ieri sera coinvolti in quest’atto – Meli, Siri, Kowaljow – come entrati in un’altra dimensione, si sono rivelati perfetti e soggioganti. Basta urli tonitruanti: un cantare soft e appassionato, proprio un piacere ascoltarli.
Lo spettacolo scenico è stato affidato al regista Leo Muscato e alla scenografa Federica Parolini (che a Firenze ha firmato la trilogia verdiana, con la regìa di Francesco Micheli).
Muscato (laurea in lettere e filosofia alla Sapienza di Roma) ha scelto “lo spirito rivoluzionario e anche un po’ barricadiero del coro” per puntare su “giovani cospiratori che cercano di boicottare il re di Spagna e giurano di esser pronti a morire per salvare la patria”. Quindi Ernani non più bandito ma giovane patriota, bravo ragazzo anche se un po’ testa calda. L’epoca è spostata dal Cinquecento originale all’Ottocento. Vedi i moti insurrezionali spagnoli del 1820, che furono miccia per rivolte in altri Paesi europei, di cui il nostro Risorgimento.
Il palcoscenico della sala Mehta avendo scarsa profondità, l’idea di Muscato/Parolini è stata di un sipario-parete che si apre in tre quinte spostate via via per creare gli spazi necessari.
Qualche incongruenza registica, come quando alla chiamata di Carlo: “miei fidi cavalieri”, irrompe in scena una turba di donzelle. Ma si è visto ben altro. Qui l’insieme funziona.
Lo spettacolo, tre ore esatte, con sopratitoli italiani e inglesi, ha ottenuto applausi intensi anche a scena aperta, costumanza raramente praticata a Firenze (merito degli amorevoli incitamenti di Pereira?) Alla fine, ovazione per Meli. Si replica: 15 e 18 novembre ore 20; 13 e 20 novembre ore 15,30.
“Ernani”, la quinta forsennata opera del giovane “Bepìn”. Ma lo struggente ultimo atto è la zampata del genio
11 Novembre 2022 by