Eros Pagni allo Strehler nella notte dell’Innominato. Incubi “gotici” di Bosch a ridosso della carità cristiana del Manzoni

MILANO, mercoledì 20 ottobre ► (di Paolo A. Paganini) C’era una volta, tanto tempo fa, nella nostra non brillante carriera liceale, lo svogliato studio dei “Promessi sposi”. La noia delle “Grida”, il bigottismo di Lucia, i Bravi, il codardo Don Abbondio, l’orrore della peste e dei monatti, eccetera. Trangugiato il calice amaro, siamo sopravvissuti. E, poi, avvenne il miracolo. Superata l’acerba immaturità dell’adolescenza, ormai grandi, abbiamo capito tutto: la fede, il caritatevole e compassionevole cristianesimo di Alessandro Manzoni, sono stati segni e messaggi che ci siamo portati nel cuore tutta la vita.
Per questo, ora che i “Promessi sposi” son diventati un nostro intoccabile mito, assistere all’interessante e sconvolgente lettura critica di uno dei capitoli più intimi e misterici dell’opera manzoniana, cioè la conversione dell’Innominato, ci ha turbato e nello stesso tempo commosso.
In scena al Piccolo Teatro Strehler, “La notte dell’Innominato”, la tormentata notte in cui Lucia, rapita, viene portata nel suo castello, e che sarà il motivo della crisi spirituale del cinico e crudele signorotto lombardo, in un’ora e quindici vede in scena un sofferto Eros Pagni, in una interminabile notte di incubi. Sarà un tragico duello tra l’Innominato e i famosi trittici di Hieronymus Bosch, in una sovrapposizione filmica dove gli incubi manzoniani si riempiono di mostri, di erotiche perversioni, di follie visionarie. E, tra realtà e fantasia, il Giudizio Universale, o il Giardino delle Delizie di Bosch diventano, da scene di panico e d’inferno, viatici dell’Innominato verso la fede e la redenzione.
La storia manzoniana dell’Innominato occupa il Capitolo XX, il Capitolo XXI (l’incontro con Lucia e il Voto della giovane), e Capitoli XXII e XXIII (incontro con il Cardinale Federigo Borromeo, la Conversione ecc.) Non poche righe, dunque, ma una sofferta creazione letteraria del Manzoni, intensa e di per sé conclusiva. Eppure, qui, è come sopraffatta dalla potenza espressiva dei folli e terrificanti ibridi di Bosch. Ma gli incubi non hanno una logica.
La compassione è un’altra cosa.
Il brutale e crudele Nibbio per primo, davanti all’Innominato, pronuncia la parola “compassione” nei confronti della povera Lucia. Un inizio canzonatorio, da parte dell’Innominato, quasi in sordina. Ma, come tante cose della vita, a volte basta un niente per capovolgere un universo. E qui comincia a rovesciarsi il mondo dell’Innominato. Dopo la solitudine di una notte di incubi e di tormenti (sì, Bosch è giusto), si assisterà alla trasfigurazione di quella compassione, davanti al Cardinale Federigo, spogliato di tutti i sacri paramenti, lui stesso umile peccatore nell’abbraccio con il peccatore redento.
E, al calar del sipario, Eros Pagni, finalmente libero dagli incubi di una trascorsa malvagità, si staglia sullo sfondo della Crocifissione di Salvador Dalì (se non sbagliamo), nel gioco prospettico dall’alto, in un finale trionfo di musiche (di Patrizio Maria D’Artista).
Grandi entusiastici applausi.

Piccolo Teatro Strehler (Largo Greppi, 1 – Milano), repliche fino a domenica 31 ottobre. “La notte dell’Innominato”, da Alessandro Manzoni, regia e adattamento Daniele Salvo, con Eros Pagni e con Gianluigi Fogacci, Valentina Violo, Simone Ciampi; scene Alessandro Chiti; costumi Daniele Gelsi; luci Cesare Agoni; musiche Patrizio Maria D’Artista, videoproiezioni a cura di Michele Salvezza.

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