(di Andrea Bisicchia) Non sono molti gli studiosi del teatro giapponese in Italia e sono alquanto pochi gli storici, ritengo, quindi, Bonaventura Ruperti lo storico per eccellenza, avendo già dato alle stampe, lo scorso anno, per Marsilio, “Storia del teatro giapponese, dalle origini all’Ottocento”, a cui ha fatto seguire, sempre con lo stesso editore, “Storia del teatro giapponese, dall’Ottocento al Duemila”, completamento necessario per chi voglia conoscere la ricchezza, l’originalità, la grazia, ma anche la drammaticità di questo teatro.
Il lettore si trova dinanzi a un panorama completo, oltre che esaustivo, che va oltre il lavoro di Savarese sul rapporto tra teatro occidentale e teatro orientale e di quello di Azzaroni, più monografico nei riguardi del Kabuki.
Nei due volumi vengono esaminati e storicizzati tutti i generi che vanno dal Nō al Kabuki, al Kyogen, al Gagaku, al Budo, al Buranku, oltre a quelli nati dall’incontro col teatro occidentale, con le Avanguardie, con la sperimentazione che hanno dato vita al “Nuovo teatro”, i cui protagonisti sono: Mokuami, Tsubouchi Shoyo, Osanai Kaoru, noti anche in Italia, insieme a scrittori come Mishima, di cui abbiamo letto i suoi cinque moderni drammi Nō, pubblicati da Feltrinelli, concepiti come rielaborazioni dei canoni tradizionali, rivisitati alla luce del teatro moderno. Ruperti per dare continuità al suo lavoro di ricerca, nei primi capitoli, si è soffermato sui teatri di tradizione, estendendoli fino a generi minori, come Rakugo e Kodan, costruiti sulla parola, ma adatti a palcoscenici piccoli dove possono essere eseguiti, alternativamente, numeri di destrezza, giocolerie, ballate, duetti comici. Non mancano i generi che riguardano il teatro di propaganda che introducono alla modernità, allo Shinpageki, ovvero a una forma di teatro che, rovistando sempre tra le scene europee, tende a proporre argomenti di attualità, per affrancarsi sempre più dal Kabuki.
Il “Nuovo teatro”, lo Shingeki, per Ruperti ha origine nel primo ventennio del Novecento, dopo la scoperta e le traduzioni di Shakespeare, Calderon, Goethe, Lessing, Ibsen, Hauptmann, Maeterlinch. Dal periodo prebellico, l’autore conduce il lettore a quello postbellico del “Teatro libero” e del “Teatro dell’arte”, dove verrà rappresentato, tra altri testi, “Sogno di un mattino di primavera” di D’Annunzio. Fondamentale, per capire il rapporto tra teatro occidentale e orientale è “ Il Piccolo Teatro di Tsukiji”, dove troveranno spazio autori come Strindberg, Cecov, Ibsen e Pirandello, i cui “ Sei personaggi”, però, si imbatteranno nella censura.
Come sostiene lo scrittore Furukawa Hideo, se l’ Italia è un paese col passato eterno, il Giappone di eterno ha solo il futuro, per questo, forse, ha scelto di mettere in discussione i generi teatrali tradizionali per la ricerca di forme nuove e di un continuo avvicendarsi di sperimentazioni.
Bonaventura Ruperti, “Storia del teatro giapponese, dall’Ottocento al Duemila”, Marsilio Editore 2016, pp 190, € 12,50