MILANO, venerdì 11 giugno ► (di Emanuela Dini) – Un popolo in fuga dalla miseria e dalla fame. Un’umanità stremata e dolente, costretta a migrare dalle terre dell’Oklahoma, rese sterili e arse dalle tempeste di sabbia, verso la terra promessa della California “dove non fa mai freddo” e gli aranci e gli alberi da frutto colorano le vallate.
Un sogno che non si avvera, il lavoro che non c’è, lo sfruttamento e la fame che uccide, le alluvioni che sommergono vite e speranze.
La tragica solidarietà dei disperati che porta una madre che ha appena partorito un bimbo morto a donare il suo latte a un vecchio che sta morendo di fame.
È “Furore”, il romanzo scritto da John Steinbeck nel 1939, tratto dalle sue inchieste e articoli giornalistici pubblicati tre anni prima sul “San Francisco News”. Il giornale aveva chiesto allo scrittore di indagare sulle condizioni di vita dei braccianti sospinti in California dalle regioni centrali degli Stati Uniti, soprattutto dall’Oklahoma e dall’Arkansas, a causa delle terribili tempeste di sabbia e dalla conseguente siccità che avevano reso sterili quelle terre coltivate a cotone.
E Massimo Popolizio lo porta in scena, nell’ adattamento di Emanuele Trevi e con l’accompagnamento della musica dal vivo di Giovanni Lo Cascio.
Ed è subito Teatro, con la T maiuscola.
Su una scena vuota e nera, gli strumenti di Lo Cascio sulla sinistra, una sorta di batteria “arricchita” dalle mille sonorità suggestive, un leggio al centro, un tavolo con una macchina per scrivere anni ’30 sulla destra.
Non serve nulla di più.
Massimo Popolizio dà vita e corpo alle storie di quei derelitti, gioca il ruolo del narratore che tutto conosce, osserva, decifra e racconta, con una potente solidarietà verso i diseredati e una beffarda ironia verso i potenti, le macchine, i padroni. Sullo sfondo, filmati e immagini in bianco e nero scandiscono e accompagnano i vari capitoli della narrazione. La Polvere, che tutto sommerge e inaridisce; le Banche, “che respirano profitti e mangiano interessi”; la Route 66, il sentiero di un popolo in fuga; la California, terra promessa che tradisce; i Semi del Furore che germogliano negli animi degli affamati.
La voce, i racconti, i movimenti sincopati e ritmati – strepitoso il monologo “La Tartaruga”, con una mimica del volto e del collo che trasforma Popolizio nell’animale – il dialogo continuo con Lo Cascio e i suoi accordi trasformano quello che con un termine adesso di moda si chiama “Reading” in un momento di altissimo teatro e poesia, dove la parola si fa spettacolo e dove Popolizio dà anima a una narrazione dolente, accusatoria, sonora e visionaria, e basta un mutare di tono e di ritmo per transitare dalla speranza alla disperazione, dalla compassione alla crudeltà, dalla morte alla vita.
Un’ora e mezza di spettacolo tiratissimo, senza intervallo, senza pause, senza momenti di quiete. Con un finale intimo, dolente e sussurrato. Che commuove.
“Furore”, dal romanzo di John Steinbeck. Ideazione e voce: Massimo Popolizio. Adattamento Emanuele Trevi. Musiche eseguite dal vivo da Giovanni Lo Cascio. Produzione Compagnia Umberto Orsini, Teatro di Roma-Teatro Nazionale. Al Piccolo Teatro Strehler, fino a domenica 20 giugno.