Essere o non essere? Speculazione inutile. Tra l’Essere e il Nulla non c’è via di scampo. In fondo c’è solo la fine di tutto

14-11-16-dona-shakespeare(di Andrea Bisicchia) Emanuele Severino, nella prefazione al volume di Franco Ricordi, citato da Donà, “Shakespeare filosofo dell’essere”, Mimesis, ricorda come la filosofia sia nata contemporaneamente alla poesia drammatica e come il Teatro di Shakespeare non sia altro che un incessante interrogatorio sulla relazione che esiste tra l’Essere e il non Essere, dato che, in molti dei suoi testi, appare evidente la crisi dell’Essere in rapporto al Nulla.
Massimo Donà, docente di filosofia teoretica, nel suo studio pubblicato da Bompiani, “Tutto per nulla. La filosofia di Shakespeare”, parte proprio dalle considerazioni di Severino e interpreta “Re Lear”, “Macbeth”, “Otello”, “Amleto”, “Sogno di una notte di mezza estate”, per dimostrare come il poeta, grazie alle sue capacità di penetrare gli universali, è da considerare anche filosofo, ma lo è ancora di più perché affronta problemi che riguardano l’identità e la differenza, sui quali si sono cimentati i primi filosofi, chiamati da Aristotele, sapienti.
Shakespeare aveva capito che il dramma dell’identità individuale o collettiva nascesse dal “polemos”, in cui si trovava inscritto l’esistente, ovvero l’”Essere-sé” che, per ritrovarsi, ha bisogno dell’”Essere-l’altro” in una forma di sfida e, quindi, di “polemos”, come se, similmente, il fantasma di Eraclito si aggirasse con quello del padre di Amleto. Nel prologo, Donà fa riferimento a Hegel che, nell’Estetica, a proposito di Shakespeare, aveva sottolineato come “la forza dello spirito si elevi oltre la limitatezza, liberandosi in bella e serena quiete, oltre il pathos determinato da cui è mossa”, come dire che la liberazione è conseguenza di un conflitto, ma cita anche René Girard a proposito del desiderio mimetico, poiché si desidera sempre quello che desidera l’altro, tanto che la passione finisce per creare una specie di complicità conflittuale. Ciò che, però, interessa all’autore è il rapporto tra l’Essere e il Nulla, tra l’identità e il suo opposto e come l’infinita potenza del Nulla fosse causa di ogni rovesciamento. Cosa ottengono Amleto, Macbeth, Riccardo III, Otello, se non il Nulla? Poiché l’impossibile, da loro ricercato, finirà per coincidere sempre con la morte.
Il Nulla è conseguenza del rapporto che l’uomo ha instaurato con la Natura che non offre via di scampo, essendo nauseata dal comportamento dell’umanità, vedi “Timone d’Atene”.
Il teatro di Shakespeare è fatto, come sostiene Harold Bloom, di continui “rovesciamenti”, dovuti alla capacita del bardo di trasformare del tutto l’idea del personaggio, essendo sottoposto a un continuo cambiamento generato dalle “vulnerabilità temporali della volontà e non da un deterioramento del passato”. Dice Antonio nella “Tempesta”: “Il passato è solo un prologo, s’è sempre già svolto e il resto è mio e vostro compito”. In fondo, siamo noi artefici del nostro passato e del nostro presente.

Massimo Donà, “Tutto per nulla. La filosofia di William Shakespeare”, Bompiani 2016, pp 254, euro 13.