Fenice a tutto campo per cantanti e musici. Pubblico nei palchi. Qualche inconveniente. Ma solo lodi per questo Faust

VENEZIA, sabato 26 giugno ► (di Carla Maria Casanova) Anche Venezia afosa. Così afosa quando è afosa. Però sempre divina e sempre rivelatrice di nuove (sconosciute?) bellezze.
Vedi san Pantalon che, a dirla così, sembra una citazione irriverente. Sarebbe san Pantaleone, ma i veneziani non lo diranno mai. La chiesa sta un po’ oltre campo santa Margherita. Non la conoscevo, nonostante le decine di soggiorni veneziani. Be’, da sola basterebbe a giustificare un viaggio a Venezia. Innanzi tutto il soffitto, che uno a vederlo crede di aver sbagliato chiesa o di trovarsi come minimo alla scuola di san Rocco. Rappresenta il “martirio e gloria di san Pantalon” . Di Tintoretto, Tiziano, Veronese? No, di Giovanni Antonio Fumiani (1640-1710). Sul grande dizionario dei Pittori neppure citato. Ma la “gloria” c’è, eccome. Notato il mio stupore proclamato a gran voce, l’uomo del banchetto delle cartoline (Pietro) mi segnala la cappellina del sacro Chiodo: in fondo a sinistra. Vista? Non vista. Lì, una grande “Incoronazione della Vergine” su fondo oro di Antonio Vivarini (1470 ca). Una Natività e una Madonna con bambino di Paolo Veneziano, una statuetta in alabastro di “Madonna con putto” (sec XIII) da lasciar senza parole. Nella cappella di destra un grande Veronese, e sull’altare maggiore un Crocefisso del “Maestro di san Pantalon”. Perché la chiesa aveva anche un suo Maestro personale. E… Niente, chi va a Venezia, dopo san Marco e i Frari, vada assolutamente a vedere san Pantalon.
Ho anche notato con viva soddisfazione i cartelli di richiamo esposti dai giornalai con caratteri cubitali “Basta Grandi Navi”.
Che sia la volta buona…
Lo scopo della trasferta in Laguna era comunque il “Faust di Gounod alla Fenice, annunciato come spettacolo “completamente diverso”. Di questi tempi, mette in allarme. (Anche quando apparvero i Fura dels Baus fu annunciato qualcosa “completamente nuovo”. Si è visto, infatti). Adesso, che con la pandemia i posti si sono ridotti alla metà, se non a un terzo. è una questione di spazi. Bisogna ripensare lo spettacolo in altro modo, avere l’ingegno per saperlo fare. Joan Anton Rechi, nato ad Andorra, regista, scenografo e costumista arrivato alla lirica nel 2003 dopo aver militato nella prosa, questo ingegno ce l’ha. La platea della Fenice svuotata diventa palcoscenico dove tutto si svolge praticamente senza scene. Ci sono solo 8 massicci banchi di chiesa, mossi ogni tanto dagli stessi attori per suggerire ambienti diversi.
Gli interpreti e il coro entrano dal fondo della platea, come fossero pubblico (il quale occupa i palchi) e si dispongono ad arte. Molta “arte”. Anche spericolata, come, per alcuni protagonisti, salire sui banchi e saltare giù con destrezza da saltimbanco. E ci sono le luci Imperative, violente, indispensabili (light designer Fabio Barettin). Poi c’è il modo di trattare i personaggi. Lui (Rechi) punta tutto su Mefistofele, vero protagonista. E anche su un Alex Esposito formidabile, sanguigno, diabolico al punto giusto, con voce autorevolissima. Di straordinaria potenza il suo inno “Dio dell’or”.
Faust, prototipo del maschio umano, è quel vecchio imbelle che ha paura della morte ma non sa bene cosa vuole. Vivere? Magari. Vuole oro? Potere? No, vuole tornare ad esser giovane. Ma lo decide solo quando Mefistofele gli fa balenare davanti agli occhi la pulzella Margherita. (Riflessione: risulta a qualcuno che a una donna in età sia mai venuto in mente di chiedere, come regalo supremo, un giovane da portarsi a letto??? Siamo sempre lì: con che cosa Venere convince Paride a farsi assegnare il pomo d’oro? Promettendogli Elena, la donna più bella del mondo… che infiniti addusse lutti agli Achei. Ahi, ahi).
A interpretare Faust è Ivan Ayon Rivas, tenore peruviano molto attivo anche in Italia. Un po’ goffo nel gesto ma con voce sicura.
Un bel timbro virile, asciutto e bene impostato, è quello di Armando Noguera, baritono franco-argentino, Valentino molto elegante anche nell’aspetto.
A Margherita dà voce e figura Carmela Remigio, nostra cantante sopraffina, musicalissima, forte di un curriculum di prim’ordine. Viene un po’ penalizzata nella celeberrima “Air des bijoux”, risolta con grande maneggio di manichini e costumi.
Nei panni dell’innamorato Siebel, si è distinta con onore Paola Gardina.
Per il Coro della Fenice, diretto da Claudio Marino Moretti, solo lodi. Guida tutti dal podio Frédéric Chaslin. È un direttore (compositore, pianista e scrittore) di grande esperienza e sensibilità. Nel 2005 alla Fenice ha diretto con successo la Juive. Uno dice: già, repertorio francese. Ma non è scontato. Lui affronta le imponenti dimensioni musicali del Faust con estrema naturalezza. Forse perché considera l’orchestrazione di quest’opera molto “economica, dove c’è tutto quello di cui si ha bisogno, ma senza nessuna sperimentazione”. La pagina che Chaslin predilige è il duetto Faust-Margherita nel boschetto, punto che lo fa “più commuovere”. E si sente. La forzata soluzione dello spostato campo di azione crea però un inconveniente tecnico, che deve aver creato problemi ai cantanti. Dal palcoscenico, con lo schermo dell’orchestra tra loro e il pubblico, le voci, specie in teatro piccolo, hanno un certo riscontro. L’equilibrio è falsato, e il volume diviene eccessivo, quando l’orchestra sta dietro e le voci salgono dal centro della platea. Mai i musicisti si abitueranno anche a questo. E porranno rimedio.
Passato dall’opéra lyrique al grand’opéra (1859-1869) dieci anni di rimaneggiamenti e aggiunte sostanziali, “Faust è oggi tra le opere più eseguite in campo internazionale. I temi che tocca, con le problematiche che comportano, sono tanti e tra i più comuni, dalla morte al come la affrontiamo, al deterioramento fisico, all’esame della vita passata, alle tentazioni del diavolo, per chi ha un credo religioso, all’onore (perduto) di Margherita e all’assenza di perdono di suo fratello (nemmeno fosse suo marito), al rimorso di Faust, all’amore disinteressato del giovane Siebel, alla redenzione finale. Ce n’è per occupare notti insonni. Anche sul piano musicale i temi spaziano con ricchezza inventiva: dallo stile melodico alla kermesse popolare chiusa con un valzer, dal duetto d’amore all’invettiva dell’odio, dalla scena drammatica della chiesa a quella della prigione, dalla fanfara all’omaggio al belcanto virtuosistico. Risolvere il tutto, musicalmente e scenicamente, nelle attuali condizioni restrittive (il maestro dirige in un angolo del golfo mistico, con l’aiuto di due schermi televisivi), è stato un tour de force. Riuscito però con successo. Vale lo spostamento.
L’opera è data in francese con sottotitoli. Due atti e un intervallo. Durata complessiva tre ore.

Venezia. Teatro la Fenice. “Faust” di Charles Gounod. Repliche domenica 27 e martedì 29 giugno. Giovedì 1 e sabato 3 luglio. Tutte alle ore 18.