“Ferdinando”: angeli e diavoli tutti perduti nell’inferno del sesso. Bello e dannato, il dialetto napoletano di Ruccello

Chiara Baffi e Fulvio Cauteruccio in una scena di “Ferdinando”

MILANO, giovedì 25 ottobre ► (di Paolo A. Paganini) Per autorevoli giudizi critici, Annibale Ruccello, drammaturgo, attore e regista napoletano (1956-1986), morto tragicamente a trent’anni in un incidente automobilistico sulla Roma-Napoli, è stato indicato tra i più importanti ed incisivi esponenti di quella corrente teatrale partenopea, sotto il nome di “Nuova Drammaturgia”, che,oltre a Ruccello, vedeva Enzo Moscato, Silvio Orlando, Antonio Neiwiller, ed altri ancora.
Imposero, nel dopo Eduardo, nuovi e originali impulsi. In particolare il testo di Ruccello, “Ferdinando”, 1986, è indicato come il capostipite della Nuova Drammaturgia. Fece in tempo a metterlo in scena, prima del tragico incidente, in un memorabile allestimento con Isa Danieli. Fu un avvenimento che lasciò il segno nella storia del teatro napoletano, anche se – a personale giudizio – rimase un fenomeno a sé stante.
Ora, “Ferdinando” è in scena al Franco Parenti, in una piccola sala che mortifica la mess’in scena, ma ch’è valsa a gustare sia la parte comprensibile sia quella più criptica del dialetto napoletano. D’altra parte, Ruccello è stato uno sperimentatore linguistico, spesso giocando più sulla forma, sulla musicalità della lingua napoletana che non sui significati. “A me piace rubare il brutto della vita“, disse in una delle sue ultime interviste. “Io sono un amante del brutto, delle espressioni linguistiche degradate… Quindi, anche in Ferdinando, tendo a descrivere i personaggi attraverso i linguaggi più che attraverso la storia. Ove per linguaggio non intendo solo il verbale, ma anche la comunicazione dei corpi…”.
Teniamo a mente quest’ultima dichiarazione, perché ce ne serviremo più avanti.
Ancora un’annotazione sul linguaggio di Ruccello. Nacque in un paese del circondario napoletano, a Castellamare di Stabia, dove “il napoletano è imbastardito e diventa una lingua molto più irta, con molte più doppie… e l’accumulo di queste doppie porta a un linguaggio che m’è servito per delineare dei personaggi, marcando l’italiano come lingua di testa, rispetto al napoletano, lingua di viscere…”.

Francesco Roccasecca (Ferdinando) e Chiara Baffi (Gesualda)

Chiarito il linguaggio, vediamo l’azione, che si svolge nei dieci mesi, da marzo a Natale, del 1870, mesi nevralgici per l’unità d’Italia, per il defenestramento dei Borboni e per l’affermarsi di una nuova borghesia italiana. Dei quattro personaggi di “Ferdinando”, donna Clotilde, fedele ai Borboni, e schifata del nuovo corso storico, che rifiuta sdegnata e offesa, s’è ritirata nella sua casa vesuviana, senza più uscirne, trovando nel letto il suo domicilio stabile e nel dialetto il baluardo contro i barbari dell’italiano. Vive con la cugina donna Gesualda, severa, illibata, dura di carattere, che le fa praticamente da serva, e che avrà una tresca con Don Catellino, untuoso, opportunista e spregiudicato prete di provincia, che se la fa sia con i nostagici dei Borboni sia con i fedeli di Casa Savoia. A interrompere la stanca monotonia delle loro lunghe giornate e della loro grigia esistenza, entra prepotentemente Ferdinando, uno sconosciuto nipote, bello come un angelo e seducente come il demonio.
Qui, lasciamo che la storia vada per conto suo, limitandoci ad anticipare una tragica conclusione, dopo che il bel Ferdinando s’è fatto sia la zia Colotilde, sia la cugina Gesualda, sia – dato che c’era – anche il povero pretonzolo, divorato a sua volta dalla libidine, come le due povere donne, sedotte, stracciate e abbandonate.
Niente a che vedere con l’altra storia, di remote analogie, “Le sorelle Materassi”, che Palazzeschi scrisse cinquant’anni prima di Ruccello. Altri tempi.
Ora, dunque, al Franco Parenti (in due tempi di un’ora e dieci e di un’ora e cinque), in “Ferdinando”, come abbiamo ricordato all’inizio, Ruccello oltre al dialetto sa anche far parlare i corpi, i loro istinti, la maledizione del sesso, l’avvelenamento e la dannazione delle coscienze.
Già visto in passato, non ne ricordavamo gli aspetti così dannatamente spregiudicati, talvolta irritanti, decisamente provocatori, e così scandalosamente esibiti, come ha fatto, con mostruosa e temeraria bravura, la regista Nadia Baldi, che ha preso in parola l’eloquenza dei corpi dichiarata da Ruccello.
Turbati e affascinati, abbiamo seguito fino in fondo, senza fiatare, la dannazione di queste povere anime, sostenute da una rapinosa potenza espressiva e, soprattutto, dalla coraggiosa e stupefacente bravura dei quattro interpreti.
Gea Martire, generosa nel darsi anima e corpo a una sbalorditiva donna Clotilde, arrivando alla fine dello spettacolo con una maschera di dolore e di fatica per la sofferta empatia con un simile personaggio.
Chiara Baffi, fredda, diabolica eppure invasata di sesso, dopo che il prete dedicò a ben altri altari il sacrifico virginale dedlla donna, in un offertorio di lussuria officiato anche con il giovane Ferdinando.
Fulvio Cauteruccio è il parroco debole e opportunista, che troppo tardi troverà, forse, la strada della redenzione.
Francesco Roccasecca, in quell’inferno di diavoli e demoni, esibisce in acerba spregiudicateza le proprie nudità monetizzandole in uno sporco doppio gioco.
Encomio solenne a tutti e quattro. Dedizione di applausi alla fine per interpreti e regista.
Repliche fino a domenica 4 novembre.

www.teatrofrancoparenti.it

Prossima tournée di “Ferdinando”
5 – 25 novembre: Teatro Bellini, Napoli;
13 – 15 novembre: Teatro Libero, Palermo;
16 – 21 aprile: Teatro La Cometa, Roma;
26 marzo. Teatro Verdi, Salerno;
28 marzo: Teatro Comunale di Santa Maria Capua Vetere, Caserta;
29 marzo: Teatro Gesualdo, Avellino;
Aprile: circuito pugliese.