PARMA, sabato 25 settembre ► (di Carla Maria Casanova) – C’è una caduta di stile in cui un Festival serio – quale è il Festival Verdi Parma e Busseto – intitolato al concittadino più celebre, tra l’altro gloria nazionale e mondiale come Giuseppe Verdi, non avrebbe dovuto incorrere. Diceva un vecchio adagio “Scherza coi fanti e lascia stare i Santi”. Tutto ha un limite, malgrado i tempi che ci troviamo a vivere.
Quel fotomontaggio della testa di Verdi applicata sul corpo flessuoso di amazzone (la principessa Sissi?) con corpetto rosa e gonna verde e frustino in mano, oltre a non essere spiritoso è di pessimo gusto ed ha provocato una interpellanza parlamentare presentata dai senatori parmigiani della Lega.
Diceva Beaumarchais “Parlarne male, purché se ne parli”. Mah. Forse sarebbe meglio non parlarne, se è par “farsi ridere dietro”.
Il titolo dell’evento al quale l’immagine si riferisce – Queer night, un Ballo in maschera – (letteralmente: “notte omosessuale”) non migliora le cose. Che questo “ballo in maschera” sia stato la prova antegenerale riservata agli Under 30, invitati a parteciparvi travestiti ognuno secondo le proprie tendenze, dichiarate o nascoste, se possibile peggiora gli intendimenti.
Alle molte proteste dell’ambiente musicale, Anna Maria Meo, direttore artistico del Festival di Parma, ha risposto che “le vivaci reazioni del pubblico dimostrano come, ancor oggi, a oltre due secoli dalla sua nascita, Giuseppe Verdi è ancora capace di accendere discussioni”. Grosso equivoco: non è qui Verdi ad accendere discussioni, ma la irrispettosa immagine fatta di lui. Come sarebbe stato rappresentare Verdi in mutande che balla il can-can. Se non che, il messaggio è più capzioso. Graham Vick, grande regista appena scomparso, cui il Festival è dedicato, era dichiaratamente omosessuale. Nulla da eccepire. Non si vede però il motivo di pubblicizzare con enfasi la situazione, ammiccando ad una realtà del tutto inesistente (Verdi non era per nulla omosessuale) e quasi indicarla come mèta ambìta, in nome della “libertà sessuale”. Ma non c’è già, la libertà sessuale? Occorre una teoria gender che impone di andare negli asili a chiedere ai bambini se si sentono maschietti o femminucce? Non ci sono già abbastanza confusioni e problemi da affrontare, in questo degeneratissimo, inquinatissimo mondo? È scherzo o follia?
La premessa riguarda anche la messa in scena dell’opera che ha inaugurato ieri sera il Festival: Gustavo III. Il titolo si riferisce all’assassinio del re di Svezia avvenuto nel 1792 per mano di una congiura nobiliare. Il fatto storico, musicato da Verdi per il San Carlo di Napoli nel 1857, portò a veti della censura papalina e l’opera fu tolta dalla programmazione. Soppressi i riferimenti storici, trasportata la vicenda alla Boston coloniale, andò in scena a Roma con grande successo due anni più tardi (1859) con il generico notissimo titolo che conosciamo:
“Un ballo in maschera”.
Il progetto scenico per il Regio di Parma, affidato a Graham Vick, è stato portato a termine dal suo assistente Jacopo Spirei, riteniamo con assoluta fedeltà di intenti. Un po’ funereo l’impianto (scene e costumi di Richard Hudson), dominato da una grande cimiteriale statua alata. Molto bello il taglio della scena, concava, con una sorta di stretto ballatoio in alto, ritagliato lungo tutto il fondale, dove sono alloggiati i coristi, dei quali sbucano teste nere e guanti bianchi: una delle geniali tipiche soluzioni di Graham Vick, usate con strepitosi effetti anche al Rossini Festival di Pesaro. Poi ci sono l’antro di Ulrica e il ballo a corte, che lasciano un po’ lì. Se l’abituro di Ulrica è raccontato come luogo magico e sinistro (vedi streghe di Macbeth), il “ballo splendidissimo” vorrebbe grande fasto. Qui si tratta di due ritrovi di travestiti, uomini seminudi con succinti indumenti femminili, intenti ad ambigui corteggiamenti. Fastidiosi. Con i fatti dell’opera, nessun collegamento.
Sul versante musicale, questo Gustavo III è soddisfacente, soprattutto dal lato orchestrale, dove la Filarmonica Arturo Toscanini è guidata con grande esperienza e fermezza da Roberto Abbado, degno discendente della illustre stirpe.
Gli interpreti, pur non possedendo voci indimenticabili, hanno avuto una resa ottimale: Piero Pretti (Gustavo III) tenore sicuro e autorevole, Anna Pirozzi (Amelia) smagliante soprano drammatico di agilità, qualche acuto sopra le righe, Amartuvshin Enkhbat (il Conte) baritono mongolo di 35 anni recente rivelazione della scena lirica, Anna Maria Chiuri (Ulrica) temperamentoso mezzosoprano molto attivo anche nel repertorio da camera, Giuliana Gianfaldoni (Oscar) sopranino un po’ troppo sculettante per essere un paggio di corte. Bene “i congiurati” Fabrizio Beggi e Carlo Cigni. Ottimo il coro del Teatro Regio di Parma.
Lo spettacolo è stato applaudito. Cioè: sono stati applauditi gli interpreti e molto il direttore. Ci sono stati contrasti (doverosi) per la regìa. Come volevasi dimostrare.
REPLICHE: venerdì 1 ottobre; venerdì 8 ottobre; venerdì 15 ottobre- Durata complessiva 3 ore, compresi due intervalli. L’opera sarà trasmessa su Rai5 il 14 ottobre.