Filippo Crivelli: “novanta”. Titoli, interpreti, regie. Dall’opera alla prosa, al cabaret, da Milanin Milanon al Ballo Excelsior

(di Andrea Bisicchia) Filippo Crivelli ha compiuto novant’anni. Sono raccontati in un volume, edito da Chimera, dal titolo alquanto emblematico: “Filippo Crivelli – Novanta”, con i titoli e gli interpreti di tutte le sue messinscene. Che, a dire il vero, hanno attraversato generi diversi, dall’Opera lirica all’Operetta, al Musical, al Balletto, alla Prosa, al Recital, al Cabaret.
Un artista per tutte le stagioni, si potrebbe pensare, che ha attraversato cinquant’anni di teatro, durante i quali, è accaduto di tutto: l’affermazione della regia critica, la nascita delle Cooperative, il Teatro Quartiere, il Teatro Documento, la Comune di Dario Fo, l’avvento delle Avanguardie degli anni Novanta, il Teatro dell’Oralità, il Teatro degli Adattamenti.
Crivelli, come regista, è nato quando il prodotto teatrale si realizzava con la partitura, col testo, con la regia, quando, cioè, era frutto di competenze che riguardavano la scrittura e l’interpretazione che, per lui, dovevano essere messe al servizio della sensorialità, piuttosto che della riflessione critica tout court. La storia lo ricorderà come un professionista, un tecnico, un artista capace di dare senso al non senso.
Filippo Crivelli è qualcosa di diverso che lo differenzia dagli altri registi, perché ciò che ha guidato le sue scelte e il suo lavoro, è stato il gusto, o meglio l’estetica del gusto. A dire il vero, il gusto è qualcosa di innato, benché Crivelli potesse vantare dei maestri come Visconti, Zeffirelli, Antonioni che erano anche maestri di gusto. Egli è rimasto fedele al suo, tanto che ne ha sempre rispecchiato la sua identità, essendo, il gusto, fatto di cultura, di storia, di letture, di conoscenze, ed è quello che distingue un artista da un altro artista. Per Crivelli il gusto è linguaggio, oltre che un prodotto di educazione al bello ed è pura creatività. Un’opera d’arte può essere sottoposta a indagini di tipo intellettualistico, può essere concepita come spazio di un pensiero critico, ma ciò che le dà una certa nobiltà va ricercato proprio nel gusto, nella volontà di farsi piacere. Crivelli non ha mai contrabbandato il suo gusto con quello degli altri. In teatro, dove il “contrabbando” è, spesso, un vero e proprio esercizio, egli è rimasto fedele a se stesso.
Vorrei ricordare alcuni dei suoi lavori più noti, quelli filologici su Donizetti, Rossini, Verdi, il fortunato “Ballo Excelsior”, l’”Orestea” di Isgrò, realizzata a Gibellina, “La Maschera” di Bertolazzi, di cui ho seguito le prove al Franco Parenti, “Bella ciao”, che debuttò a Spoleto, suscitando scandalo, il “Milanin Milanon”, lo spettacolo, che più di tutti lo ha reso famoso.
Ha firmato centinaia di regie in tutti i teatri d’Italia e del mondo, ma è sempre pronto a ricominciare, con lo spirito e il gusto di sempre che gli hanno permesso di dare unità alla molteplicità delle sue realizzazioni tanto da poter affermare che il suo gusto è anche un “marchio”.
Per la sua lunga carriera, è stato insignito del prestigioso Premio Enriquez.

“Filippo Crivelli – Novanta, AA.VV. – Editore Chimera 2018 – pp 206, 15