“Filumena”, la più cara delle commedie di Eduardo. Superba prova di Mariangela D’Abbraccio, con Geppy Gleijeses

MILANO, giovedì 19 ottobre ► (di Paolo A. Paganini) Come per tanti drammaturghi, anche Eduardo, come Pirandello, è spesso citato per frasi celebri del suo repertorio. Come, per esempio, “Ha da passà ‘a nuttata”, da “Napoli milionaria” (1945), che si presta a una variegata sequela di significati dalle tante allusioni metaforiche. O come “E figlie so’ ffiglie… e so’ tutte eguale”, che diventa una specie di programmatico manifesto politico, dettato più dall’amore che dalla giustizia.
E proprio questa diventa la frase che inchioda alle sue responsabilità l’ignaro Domenico Soriano, cinquantenne sguazzante in felici e spensierate godurie mondane. Ora vorrebbe abbandonare la donna con la quale praticamente convive da venticinque anni, e che gli ha fatto da moglie fedele, per involarsi con una fringuella molto più giovane di lei. D’altra parte Don Mimì non si fa troppi scrupoli, con quella ex prostituta, che ha avuto tre figli maschi quand’ancora era in prostibolo, figli illegittimi, dei quali l’uomo non presuppone nemmeno l’esistenza. E quello straccio di donna? Lo si può tranquillamente abbandonare con un pacifico e ben retribuito lasciamoci così senza rancor.
Ma non tien conto dell’amore feroce di una madre quando difende le proprie creature. E lei, Filumena Marturano, è pronta a tutto. Anche a farsi sposare, fingendosi agonizzante in limine mortis, con tanto di prete benedicente. Soriano, quando scopre l’inganno, diventa furibondo. Fa annullare il matrimonio. Ma lei ha ancora una carta da giocare. Gli rivela che uno dei tre figli è proprio suo, di Don Domenico. E, come la maternità, anche la paternità non è acqua.
Ora lui vuol sapere quale dei tre è sangue del suo sangue… Qui salta fuori la frase citata e rivendicata da Filumena, “i figli so’ tutte eguale”. Frase che propizia un gran finale, quando, finalmente risposata seriamente, i tre figli si rivolgono a Soriano, abbracciandolo. Ed esce loro dal cuore, in uno slancio di liberatorio amore, un tenero: papà!
Lacrime a profusione in platea.
Così com’è stato al Teatro Carcano, con la regia fluida, attenta e amorosa di Liliana Cavani, e con Mariangela D’Abbraccio: una Filumena appassionata, genuina, teneramente innocente e popolaresca. Semplicemente maestosa. (Con qualche nostra difficoltà per il serrato dialetto partenopeo, ma così saporito di spezie popolari).
Al suo fianco Geppy Gleijeses, un Soriano forse molto più comico del dovuto, ma, caspita, quanto bravo e convincente, in questa commedia con la quale Eduardo, ancora una volta, mette al centro la crisi della famiglia, compresi i figli illegittimi, quando erano ingiustamente bollati, perfino negli atti amministrativi dello Stato, non in anni lontanissimi, con un umiliante NN (Nomen Nescio). Un’infamia, che Eduardo, con la sorella Titina e il fratello Peppino, conosceva bene e pagava sulla propria pelle, essendo figlio naturale, lui e i fratelli, dell’attore e commediografo Eduardo Scarpetta, che ebbe dalla sarta teatrale Luisa De Filippo, della quale presero il cognome.
Eduardo, della famiglia e dei figli, ne fece un atto d’amore. Non solo in teatro. Anche al Senato, dove sedette dal 1981 al 1984, conducendo una battaglia sui figli minori rinchiusi negli istituti di pena…
Di questa commedia, bella e amara, in scena ora al Carcano, in un atto unico di due ore e dieci, Eduardo disse: “È la più cara delle mie creature”.
Ed anche per noi.
Applausi a non finire, e a scena aperta (con meritata sottolineatura per tutti e per l’apprezzata Nunzia Schiano nel ruolo della domestica Rosalia).

FILUMENA MARTURANO, di Eduardo De Filippo. Con Mariangela D’Abbraccio e Geppy Gleijeses, e con Nunzia Schiano, Mimmo Mignemi, Ylenia Oliviero, Elisabetta Mirra, Fabio Pappacena, Adriano Falivene, Gregorio Maria De Paola, Agostino Pannone. Regia di Liliana Cavani. Al Teatro Carcano, corso di Porta Romana 63. Milano. Repliche fino a domenica 29 ottobre.