Fiori, caprette, mucche, violinisti, rabbini. E i cieli visionari di Chagall s’accendono di poesia. Una vertigine di 130 opere

Marc Chagall, “Sopra la città”, 1914/1918, olio su tela, 139 x 197 cm. Galleria di Stato Tretjakov di Mosca.

MANTOVA, lunedì 1 ottobre(di Carla Maria Casanova) – Magari ci si domanda come mai personaggi improbabili che volano sulla città, caprette che si inerpicano sui tetti di casupole sbilenche, figure stereotipate di violinisti con faccia verde e abiti sbrindellati, carri che sferragliano guidati da cavalli che paiono cani, possano contenere tanta fascinazione. E nemmeno si può parlare di disegno accattivante: i personaggi sono sproporzionati, sovrastati da immense mani, i visi grotteschi, spesso mostruosi, la prospettiva assente. Spuntano qua e là imprevedibili profili di animali – costante la mucca – (in verità dovrebbe essere un cavallo ma “ho sempre dipinto cavalli che paiono mucche”, confesserà il pittore).
Eppure forse mai come dalla pittura di Chagall si sprigiona una ineffabile melodia. Chagall o della poesia. Con lui si parla di favola, sogno, lirica. Mai come gli artisti del suo tempo, da Apollinaire a Breton, Aragon, Nabokov… e fino a Maria Luisa Spaziani, furono attratti e influenzati dalla pittura di Chagall.
Un simile estro non poteva che sfociare nel più fantasioso e visionario capitolo dell’arte: il teatro.
Proprio al teatro di Marc Chagall (Vitebsk, Bielrussia 1887 ― Saint-Paul-de-Vence, Francia, 1985) è dedicata la grande mostra appena inaugurata a Palazzo della Ragione (Mantova, fino al 3 febbraio 2019) con titolo “Come nella pittura, così nella poesia”.
La curatrice Gabriella Di Milia apre il suo saggio di introduzione con entusiasmo già visionario: “Chagall la festa il teatro la rivoluzione: una vertigine da perdere la testa”. Imperdibile il catalogo Electa (euro 25) gestito come un libro, con una antologia (a cura di Matteo Bonanomi) di interviste e articoli degli artisti contemporanei di Chagall. 61 le pagine di immagini a colori e riproduzioni delle litografie, puntasecca, acquaforte.

Marc Chagall, “I musicanti”, ca 1911, tempera su carta grigia, 18,5 x 18,7 cm. Galleria di Stato Tretjakov di Mosca

La mostra, che si dipana su temi precisi (Teatro, Musica, Danza, Letteratura), comprende oltre 130 opere di cui il ciclo completo dei 7 teleri dipinti da Chagall nel 1920 per il Teatro ebraico da camera di Mosca: opere straordinarie che rappresentano il momento più rivoluzionario, e meno nostalgico, del suo periodo artistico. Diciassette pannelli, tempere e gouaches su tela di grandi dimensioni, sono un prestito della Galleria Tret’jakov di Mosca. Prestito eccezionale se si considera che queste opere apparvero in Italia solo nel 1994 a Milano e nel 1999 a Roma, dopo le esposizioni del 1992 a New York e del 1993 a Chicago.
Pezzo forte della mostra è il grande pannello “Introduzione al teatro ebraico” che occupava la parte sinistra della platea. Una composizione balorda, ironica, con reali personaggi del teatro (non manca tra loro la capretta) affastellati sul lato sinistro, mentre l’altra metà del dipinto, con sfondo a strisce geometriche evanescenti, è occupata da leggeri saltimbanchi. Qua e là, gli immancabili violinisti. Il violino (e il cavallo/mucca/capra) sono in Chagall una sorta di sigla. D’altronde il violino è una icona ebraica: un popolo sempre in transumanza non poteva possedere che quello strumento, per fare musica.
Per la vita privata di Chagall l’incontro decisivo fu quello con Bella Rosenfeld, amore e  musa del pittore per trentacinque anni, fino alla morte di lei. (Avrà poi una seconda moglie, Vave, anche lei molto amata). Determinante invece per la carriera fu l’incontro con Léon Bakst, scenografo e costumista dei Ballets Russes che lo introdusse nel modo parigino della cultura, dove già dettavano legge le avanguardie artistiche: i fauves, il futurismo, il cubismo.
La straordinaria, fiabesca, unica avventura pittorica di Marc Chagall, iniziata in sordina nella natìa Vitebsk e poi esplosa nelle grandi tappe di Parigi, New York, Costa Azzurra, è tutta qui: “Nelle nostre vite, come sulla tavolozza del pittore, c’è un solo colore che dona senso all’arte e alla vita stessa. Il colore dell’amore”.
Oramai prossimo allo spirare del secolo di vita (morì a 98 anni), Chagall continuò a sognare e sorridere, con ingenuità infantile,con la sua faccetta furba, zigomi alti, occhi rastremati indici di lontane origini mongole, popolando gli spazi con rabbini e simboli della torah, e animali, fiori, candele, e figure senza gravità, ma piene di colori.

“Marc Chagall come nella pittura, così nella poesia” – MANTOVA, Palazzo della Ragione – Fino al 3 febbraio 2019.

Informazioni prenotazioni:
Tel. 39 0376.1979010
www.chagallmantova.it