(di Andrea Bisicchia) – Franco Cordelli, evidenziando il suo malumore nei confronti del teatro contemporaneo che ritiene privo di chiarezza nell’affrontare il rapporto tra tradizione e modernità, non ha nascosto un certo pessimismo, sia nei confronti della scrittura scenica, che della tecnologia, utilizzata ricorrendo a troppi “trucchetti”, sia nei confronti del concetto di “ricerca”, che spesso si risolve in pura deformazione. Ma, come se non bastasse, egli crede che lo spettatore di teatro abbia finito per annoiarsi perché, a suo avviso, la finzione è stata sostituita da ciò che è “finto”, una distinzione che ritiene necessaria, perché basata sulla consapevolezza che la finzione sia una categoria filosofica e che il finto sia ciò che non vale nulla. Ciò che, però, ha reso più drammatica la sua amarezza è il fatto che, dinanzi all’evidente declino del teatro, la stessa critica diventi superflua, come dire che quando non ci sarà del tutto, lo stesso teatro ne subirà le dovute conseguenze.
Le sue osservazioni, più che altro negative, hanno aperto un dibattito sulle pagine della “Lettura”, al quale hanno partecipato direttori di teatri, registi, organizzatori e alcuni addetti ai lavori, come il Commissario del Teatro Argentina.
A dire il vero, da parecchi loro interventi, più che delle considerazioni, rivolte al futuro, sono venute fuori le solite lamentele e le consuete autoreferenzialità.
Claudio Longhi ha parlato di ricerca, che non deve però degenerare e di teatro da intendere come “cura”, pur riconoscendo la “marginalità” che gli viene sempre accreditata.
Ferdinando Bruni e Elio De Capitani hanno sostenuto la “necessità” del teatro, oltre che l’importanza della pratica di palcoscenico, ritenuta altrettanto necessaria.
Davide Livermore ne ha approfittato per polemizzare con Cordelli che non ha mai nascosto il suo disinteresse per le regie di Livermore che, a sua volta, ha rivendicato il concetto di contaminazione tra il linguaggio teatrale e il linguaggio televisivo, estremizzando la poetica di Giovan Battita Marino, nel sostenere che il teatro deve “meravigliare”. Come altri, anche lui ha fatto pubblicità alla sua nuova Stagione, esaltando il numero degli abbonati.
Pamela Villoresi, che ha riportato il Calendario della sua programmazione, accompagnandolo con i nomi di tutti i registi, on è stata da meno.
Andrea De Rosa ha rivendicato un posto importante che dovrebbe essere assegnato alla nuova drammaturgia, grazie alla quale è possibile interpretare il mondo, perché dà voce alle inquietudini del nostro tempo.
Valter Malosti ha sostenuto l’idea che i teatri debbano essere sempre aperti, come gli uffici dell’anagtafe, essendo particolari luoghi di incontro, e di puntare alla ricerca di qualità perché: “la vera Arte ha potenza salvifica”.
Nino Marino ha invocato nuovi sistemi di produzione, con particolare riguardo alla ricerca e alla formazione.
Stefano Curti, da ottimo organizzatore, ha puntato sull’analisi e sulla conoscenza dei “dati”, oltre che sul necessario equilibrio tra “commerciale” e “non commerciale”.
Matteo Negrin ha virato la sua attenzione sul “teatro di prossimità”, quello dei “circuiti”, per intenderci, che una volta veniva definito “decentramento”, per il quale le modalità di gestione sono del tutto diverse da quelle dei teatri nazionali.
Luca De Fusco ha proposto la riduzione del ruolo del regista e il ritorno alle grandi produzioni, perché danno lavoro, come ha fatto Giovanna Marinelli che sostiene di credere nel teatro come “Strumento di Welfare culturale”.
Andrée Ruth Shammah ha rivendicato la forza della parola poetica e ha distinto la ricerca, da intendere come tensione fisica, da quella da intendere come tensione morale. In teatro, a suo avviso, ciò che conta è saper guidare gli attori, la regia, che “oggi non si nega a nessuno”, deve essere intesa come “guida” e non come il mettere in scena una “guida” che sappia evitare gli effetti esteriori, le stravaganze e il volere stupire a tutti i costi e che tenga soprattutto conto degli strumenti recitativi. Sulla scena, per la Shammah, vale tutto ciò che accade, quando accade qualcosa di più, si capisce che si è trattato di “una notte d’amore che diventa impossibile cercare di descrivere”.
Marco Martinelli e Ermanna Montanari, dopo aver denunciato “il vuoto della politica”, dicono di sentirsi vicini a chi ha pensato alla necessità del teatro, non certo quello delle “abitudini rassicuranti” o di chi cerca il successo, essendo meglio, secondo loro, inseguire “il succedersi delle cose”.
Enrico Frattaroli ha esaltato la sua “splendida e orgogliosa solitudine”, la cui fede è rivolta al “teatro d’autore”, in fondo egli si ritiene un artista che sa ben resistere al “declino”.
Geppy Gleijeses è apparso più ottimista: è convinto che il teatro italiano “è vivo e gode di ottima salute, grazie anche ai classici che sono tesori infiniti, mai esplorati fino in fondo”. Sul rapporto teatro e tecnologia ha giudicato aberranti le inflazionatissime proiezioni, ma rivendica la tecnologia quando è messa al servizio “critico” del testo.
Noi dello Spettacoliere abbiamo notato, in questo ultimo decennio, una certa omologazione nelle programmazioni, l’inadeguatezza di molti attori giovani, l’eccesso di video proiezioni che infestano e rendono urticante ciò che si va a vedere.
A proposito della ricerca abbiamo assistito non solo all’abuso nel volere miscelare e intrecciare i testi altrui, ma anche alla inspiegabile cancellazione dei “generi”, che ha alimentato una grande confusione , oltre che alla ripetitività che ha favorito la convenzionalità, alla moltiplicazione di forme sceniche che, a loro volta, comportano una moltiplicazione delle forme estetiche, tanto che si può parlare di una molteplicità di estetiche riferite all’allestimento, alla visione, al suono, all’elettronica.
Noi siamo convinti che le rivoluzioni artistiche avvengano sempre dal di dentro (Pirandello insegna), e non certo dall’essere irriverenti, da fasulle decostruzioni, da conflitti eterogenei e da una perenne instabilità. Bisogna partire dall’attività creativa che, certamente, non la si può improvvisare, perché richiede molto lavoro, molti studi e non semplici e superficiali letture.
I vari interventi dell’ampio dibattito sono apparsi sul supplemento domenicale del CORRIERE DELLA SERA, “La Lettura”, dal n. 602, e successivi fino al n. 608. In data odierna, domenica 30 luglio, gli interventi di “La Lettura” sul Corriere proseguono con il tema dedicato ai “Repertori”.