Gabbiano chi? Di Cechov o di Rifici? In un mondo di selfie e di Youtube al diavolo naturalismo e tradizione. “W la liberté!”

collage gabbiano, lac, luganoLUGANO, venerdì 6 novembre  ●
(di Marisa Marzelli) Cechov sosteneva che i suoi drammi andassero messi in scena come commedie. Sembra che il teatro contemporaneo lo stia accontentando, per eccesso. Molto atteso, giovedì ha debuttato in prima internazionale al LAC (il da poco inaugurato nuovo centro culturale di Lugano) Il gabbiano con adattamento e regia di Carmelo Rifici. Che dal maggio 2014 è direttore artistico delle stagioni di LuganoInScena, oltre che direttore della Scuola del Piccolo Teatro di Milano, succedendo di Luca Ronconi.
Coprodotto dal LAC, dal Piccolo di Milano e dal Teatro Sociale di Bellinzona, lo spettacolo vede anche per la prima volta Margherita Palli lavorare nel suo Cantone d’origine. Perché forse non tutti sanno che la celebre scenografa è ticinese. Non un allestimento tradizionale; Gabbiano, senza l’articolo, perché – secondo il regista – spinge a chiedersi chi sia il personaggio da identificare con il titolo. Forse Nina, che vuole diventare attrice e finisce sedotta e abbandonata dallo scrittore famoso Trigorin? Il giovane scrittore Kostja, innamorato di Nina e che si suicida? Sua madre Arkadina, celebre attrice amante di Trigorin? A ognuno la sua interpretazione.
Dopo Ivanov diretto e interpretato da Filippo Dini, ecco un altro lavoro di (su) Cechov che butta alle ortiche il naturalismo e rilegge il grande russo in chiave contemporanea e più chiassosa. Sempre con bravi attori, interessanti forzature registiche, messa in scena accurata in ogni reparto, ma non è più Cechov. O meglio, è (quasi) Cechov ai tempi di Youtube. Lo so, i classici ormai si ritiene che non vadano più portati in scena “semplicemente” come erano stati creati ma debbano essere reinterpretati a misura di spettatori d’oggi; e poi, essendo universali hanno le spalle larghe. Dunque, questo Gabbiano di Rifici, senza articolo e senza psicologismi, prende in considerazione e sviluppa un aspetto preciso della struttura del dramma. I personaggi principali hanno a che fare con diverse forme di comunicazione (Trigorin e Kostja sono scrittori; Arkadina e Nina sono attrici), con la rappresentazione del mondo e l’immagine di sé da mostrare agli altri. Scrive il regista nel programma di sala: “Un giovane teatrante pieno di dubbi sulla necessità del fare teatro oggi, un famoso scrittore che s’interroga sulla necessità o meno di scrivere, una giovane ambiziosa che sogna il successo, una donna di successo che non sogna, un’umanità che desidera essere personaggio, personaggi che si specchiano in un lago...”.
Si sposta quindi il focus dai caratteri delle singole persone alla sociologia di un gruppo rappresentativo. Ma di che cosa? Non certo della Russia di fine ‘800 ma di un mondo dove imperversa il selfie. Risulta però che certe battute non sono in sintonia con il contesto. Come quando Arkadina, commentando il dramma del figlio rappresentato nel teatrino sul lago, lo taccia di decadente; ma lo spezzone di spettacolo a cui assistiamo è proprio trash. La messa in scena, di suo, è ricca di invenzioni. A partire dai personaggi spesso tutti in scena (persino dopo che Kostja si è sparato dietro le quinte è lì insieme agli altri); i costumi atemporali e disparati (di Margherita Baldoni); il personaggio di Jakov che ha pochissime battute e spesso negli allestimenti viene eliminato, mentre qui diventa anche il contrabbassista che suona live (Zeno Gabaglio, autore delle musiche di scena, con tanto di consolle a vista per i suoni elettronici). Attori che a volte cantano, didascalie recitate e una cascata di rosso. Perché Margherita Palli, in una scenografia tanto essenziale quanto antinaturalistica, ha concepito, accanto a tavoli e sgabelli che uniti si trasformano in praticabili, sipari scarlatti di stoffa leggerissima che delimitano le tre pareti della scena, si alzano e si abbassano e gli attori (in particolare Nina, come si trattasse della coperta di Linus) a volte vi si avviluppano. Sul fondo compare anche un impalpabile sipario di funi sciolte, dove sono impigliati gabbiani di carta. Va da sé che gli interpreti variano molto nei registri vocali e nella gestualità, con inattesi scoppi improvvisi che innescano un assoluto straniamento. Centrale la figura di Nina, determinata, aggressiva nel rivendicare la sua dose di fama e alla fine sconfitta. Le dà vita la giovane ticinese Anahì Traversi (diplomata alla Scuola del Piccolo Teatro sotto la direzione di Ronconi). Il senso di totale fallimento, secondo Carmelo Rifici, è tipico dei giovani d’oggi appena commettono uno sbaglio. Tra gli altri, tutti sicuri anche nei momenti di sopra le righe voluti dalla regia, Fausto Russo Alesi (che dopo essere stato Kostja con Nekrosius, qui è Trigorin), Giovanni Crippa, Ruggero Dondi, Mariangela Granelli, Zeno Gabaglio, Igor Horvat, Emiliano Masala, Maria Pilar Pérez Aspa, Giorgia Sanesi e con l’amichevole partecipazione di Antonio Ballerio.

REPLICHE
Domenica 8 novembre alle 16.30 al LAC di Lugano; 11 e 12 novembre al Teatro Sociale di Bellinzona; dal 12 al 24 gennaio al Piccolo Teatro di Milano; il 27 e 28 gennaio al Teatro Goldoni di Venezia e poi ad Asti, Ravenna, Modena, Lecco, Parma, Reggio Emilia, Fermo.