Gala musicale del regista Kusturica, alla vigilia del Film Festival di S. Marino. E qui parla di sé a cuore aperto

Emir Kusturica in concerto a San Marino con la sua “No Smoking Orchestra”.

Emir Kusturica in concerto a San Marino con la sua “No Smoking Orchestra”.

SAN MARINO, sabato 25 ottobre
(di Paolo Calcagno) Il rock gitano della No Smoking Orchestra ha travolto e contagiato la platea compassata di San Marino, nella sala del Teatro Turismo, alla vigilia dell’apertura del terzo San Marino Film Festival (al via oggi, 25 ottobre). I 10 elementi della virtuosa e istrionica band guidata, alla chitarra elettrica, dal celebre regista serbo Emir Kusturica per circa due ore hanno coinvolto il pubblico inglobandolo con canti e danze nel loro scatenato repertorio zingaresco, in cui compiaciuti eccessi si alternano a dolenti note, tuba, violino e fisarmonica si combinano con tastiere e chitarre elettriche, vitalità ed energia si fondono in uno chiaro-scuro abbraccio con la malinconia, all’inseguimento di un tempo e una cultura di cui forse non resta che il ricordo, ma tutt’altro che sbiadito.
Suoniamo assieme da vent’anni – ha commentato Emir Kusturica, 60 anni, durante la master-class del pomeriggio -. La musica per me è importante quanto le immagini, forse anche di più. E, comunque, non potrei concepire le immagini dei miei film senza l’associazione alle musiche che ho composto per esse”.
E non a caso, uno dei momenti più esaltanti e contagiosi del concerto è stato quando la No Smoking Orchestra ha attaccato il brano musicale del film “Gatto nero, gatto bianco”, premiato a Venezia nel 1998 con il Leone d’Oro.
C’è stato un tempo in cui sul palco, alla mostra del Cinema di Venezia, si alternavano grandi autori come Fellini, Visconti, Bergman, che con la loro personalità definivano un modo di fare Cinema che per me è stato una guida – ha osservato Kusturica – Nel decennio degli anni ’70-’80 l’idealismo e la voglia di cambiare il mondo avevano invaso anche il Cinema. Non ci sono più film che rappresentano la nostra vita reale come quelli degli anni ’70, che portavano avanti idee politiche, sociali, esistenziali, e costituivano un pezzettino della nostra vita. Oggi, è cambiato tutto. Il Cinema ha un ambiente diverso e per uno studente di Cinema è molto più difficile. Quando andai a Cannes per la prima volta con Papà è in viaggio… d’affari, nel 1985, e mi consegnarono la Palma d’oro, il mio film fu scelto fra 700 pellicole candidate, oggi si è fortunati se i candidati non superano quota 3.500. È molto complicato per un cineasta costruire quel ponte che ti permette di raggiungere la sensibilità moderna. Internet si prende tutto, ogni cosa finisce su Youtube e ti arrivano migliaia di commenti. Allora, le macchine da ripresa erano molto pesanti e difficili da spostare; oggi, potresti fare un film con  l’I-phone. Ma la questione cruciale è sempre metafisica: hai qualcosa da raccontare o no? Oggi, si fanno film dove la quantità è superiore alla qualità. Nonostante l’accesso alle tecnologie, oggi nel Cinema più dell’uso c’è l’abuso”.
E a proposito del film che gli valse la sua prima Palma d’oro, Emir Kusturica decide di regalarci un aneddoto inedito: “Avevo 33 anni e per molti ero un mezzo squilibrato – racconta il profeta della cultura dei Balcani -. Così, un pochino mi convinsi anch’io di essere sulla via della follia. E per saperne di più chiesi aiuto a uno psichiatra. L’assistente mi annunciò rimarcando il fatto che avevo realizzato quel film dove il protagonista per il suo dissenso viene condannato e inviato da Tito in un lager sovietico. Il medico mi chiese di raccontargli il film e mentre parlavo incominciò a piangere, sempre di più, fino a trasformarsi in un torrente di lacrime. Gli chiesi che cosa gli stesse accadendo e se potevo aiutarlo. “Sa, il suo racconto mi ha ricordato le mie pene, perché anch’io sono stato in quel lager”, mi confidò. E fu così che compresi che possiamo essere tutti pazienti e tutti dottori. Ma, soprattutto, mi fu chiaro che non ero pazzo”.
Chiedo a Kusturica se il cambiamento del Cinema non rifletta il cambiamento del pubblico, “corrotto” dai valori effimeri divulgati dalla tv. “Oggi, non è un buon tempo per l’arte: il momento e l’ambiente lavorano contro gli artisti, mentre i politici sono i killer della cultura e dell’arte – la sua risposta -. A New York, imperversa la “science culture” e l’audience, il pubblico, è smarrito. I sentimenti sono sempre la misura di ciò che fai, anche se hai maggiore agilità di spostamento con la camera, e puoi fornire maggiori informazioni al pubblico, la domanda più importante è: come fai a trasmettere la visione interiore di ciò che vuoi dire attraverso le scene e le immagini del film? Quando arriva il momento critico e devi incominciare a girare sei veramente solo e nessuno ti può aiutare. A volte, quando vado sul set penso e mi domando: che ci faccio qui?”.
Emir Kusturica è nato a Sarajevo nel 1954, è stato due volte vincitore del Leone d’oro, a Venezia (1981, miglior opera prima con “Ti ricordi di Dolly Bell?”; 1998 con “Gatto nero, gatto bianco”) e della Palma d’oro, a Cannes (1985, con “Papà… è in viaggio d’affari”; 1995 con “Underground”; oltre al Gran Premio della Giuria del 1989 con “Il tempo dei gitani”), recentemente si è fatto apprezzare anche come attore (alla Festa del Cinema di Roma si è imposto quale protagonista di “La Foresta di Ghiaccio”, thriller di Claudio Noce, accanto a Xenya Rappoport.
E vanitoso e gigione com’è, il geniale regista deve averci preso gusto a spostarsi dall’altra parte della cinepresa, davanti all’obiettivo. Kusturica, infatti, sarà protagonista anche del suo nuovo film “The Milk Road”, che deforma volutamente il nome della “Via Lattea” e dell’evidente richiamo mistico- surreale all’immenso Luis Buñuel. Il film si basa su tre episodi e per il principale ruolo femminile la prescelta è stata la nostra Monica Bellucci. “Ero certo che Monica avrebbe dato corpo e anima al ruolo che le ho assegnato e non sono per nulla rimasto sorpreso dalla bravura che ha dimostrato sul set – ha sottolineato Kusturica -. La Belluci non solo è bellissima ma è anche una grande attrice. Il film è ambientato in Bosnia e in Serbia ed è quasi pronto: manca ancora l’episodio iniziale. Poi, se farò in tempo, l’anno prossimo, lo porterò a Cannes, o più realisticamente a Venezia. “The Milk Road” narrerà tre storie: la prima parla di un soldato, in un paesino, che ha il compito di prendere il latte nel villaggio vicino e portarlo ai commilitoni; la seconda è sulla donna che gli dà il latte; e la terzo è su quell’ex-soldato, diventato un monaco che, ogni giorno, quando finisce tutti i doveri quotidiani, si arrampica fino alla scogliera con un secchio di pietre per svuotarlo, una volta arrivato in cima. La donna del latte è, appunto, la Bellucci che versa e spruzza il prezioso alimento, spargendolo liberamente intorno dal suo procace  e attraente seno. È un film sul cambiamento e sulla necessità di farsi trovare pronti quando arriva. Intanto, Johnny Depp è tornato a essere il favorito per il ruolo da protagonista nel film su Pancho Villa, che va a rilento perché è difficile mettere assieme l’alto budget di cui necessita. Invece, farò certamente “Verdiana”, il progetto ambientato alla “Fenice” di Venezia, ispirato a vari personaggi delle opere di Verdi, mentre un terrorista li osserva in sala… Sto, inoltre, preparando la settima edizione del Festival di Kustendorf (Città delle arti), dove avevo girato “La vita è un miracolo”, nel 2004: il villaggio è terminato. Sto, infine, portando avanti il progetto di costruire una nuova città, Valosod, interamente dedicata a Ivo Andric, il nostro poeta premiato col Nobel”.
E, come sul palco del concerto aveva trascinato la platea in un seriale e ritmato “Fuck Mtv”, anche alla master-class Emir Kusturica non rinuncia all’occasione di scagliarsi contro il Cinema di Hollywood (“Hollywood è il diavolo, produce un Cinema senza idee, votato solamente a far soldi. Oggi, i buoni film arrivano dall’Italia, dall’Iran, e da altri Paesi non dominanti sul mercato”); tesse l’elogio di Bernardo Bertolucci ed Ermanno Olmi (perché la personalità del primo “dà forza al Cinema”, mentre la poesia dell’altro “offre una speranza alla nostra vita, alla nostra voglia di vivere e combattere per essa”); rinnova il celebre aneddoto della scoperta di Federico Fellini quando, da studente, la tensione e l’emozione per l’attesa di vedere “Amarcord” lo abbatterono ben due volte in un sonno profondo dopo le prime immagini del film e solamente, tre anni più tardi, a una terza proiezione, affianco al suo grande amore, che diventò sua moglie, riuscì a godersi le magie di quel film. “Anche il Cinema russo e poi quello sovietico sono molto importanti per me – ha ricordato Kusturica -. Federico Fellini, Andrej Tarkovskij e Stanley Kubrick, in maniera diversa, per me, sono i tre più grandi artisti di Cinema, capaci di rappresentare il mondo nelle sue varie forme e, facendolo, di creare un mondo nuovo. Tuttavia, per il suo umorismo, per il suo temperamento, per la capacità di mettere in equilibrio la tragedia e la commedia della vita, Fellini è sicuramente l’autore a me più vicino. Quando vidi “Amarcord” pensai subito che avrei voluto condividere la sua visione della vita”.
Infine, Kusturica fa l’elogio del suo coraggio: “Ci vuole coraggio per fare un buon film e il coraggio è la caratteristica principale dei miei film – ha detto il regista serbo -. La disperazione, il dolore, e la rinascita che racconto vengono dalla scoperta che nei posti dove ho vissuto, soprattutto a Sarajevo, c’è sempre stata una zona mista di varie culture. E ancora oggi mi domando spesso come ho fatto a mettere assieme tutto questo? Io e non un altro? La risposta, però, la conosce solo Dio. Per fortuna”.