(di Andrea Bisicchia) Per capire il presente bisogna sempre confrontarlo col passato e col futuro, credo che sia stato questo il metodo utilizzato da Claudio Meldolesi (Roma 1942 – Bologna 2009) per “Fondamenti del teatro italiano. La generazione dei registi”. Il passato è stato quello del tramonto del grande attore, del corporativismo fascista, dei Trust, tipo Suvini-Zerboni, della recitazione funzionale; il presente che l’autore ci racconta è quello del dopoguerra, degli anni 1945-1973, caratterizzato dalla ascesa e caduta della regìa critica, mentre il futuro sarà quello dell’Avanguardia romana, della seconda generazione dei registi, delle Cooperative.
Nel suo presente, Meldolesi pone Paolo Grassi sullo stesso piano di Vito Pandolfi, riscontrando delle origini culturali comuni, entrambi frequentatori di artisti visivi, quelli del movimento “Corrente”, per Grassi, quello dei critici d’arte di Palermo, per Pandolfi. Se fu Grassi a interessarsi di Strehler, fu Pandolfi a interessarsi di Costa. Meldolesi li chiama “I giovanissimi” in cerca di un teatro che facesse dimenticare la drammaturgia borghese e quella del regime. Li passa tutti in rassegna, dagli sperimentali che lavoravano presso i Guf a quelli che rifiutavano la funzionalità professionale del grande attore. Occorreva guardare verso l’ Europa, all’esplosione registica avvenuta nel primo Novecento a cui fa riferimento proprio Pandolfi col primo studio sull’argomento: “Regia e registi nel teatro moderno”, Cappelli, 1961, che ci offre una panoramica di quella che definisce: “la nuova scienza”, riferendosi ad Appia, Craig, Reinhardt, Piscator, Brecht, Artaud. Meldolesi sceglie la scuola italiana del dopoguerra, quella di Strehler, Squarzina, De Bosio, indaga le origini del loro apprendistato, oltre che i metodi produttivi, convinto che ogni epoca avesse i suoi.
Eppure, in questa scuola italiana, Meldolesi non trovò delle vere e proprie linee o dei veri e propri nessi, la ritenne troppo personalizzata, tanto che ciascuno teorizzava la propria, benché il lavoro teorico nascesse direttamente sul palcoscenico, piuttosto che sulla pagina critica o sul saggismo. A questo si arriverà molto dopo, quando i registi citati potranno finalmente dare corpo critico al lavoro svolto, in primis Squarzina col saggio: “Nascita apogeo e crisi della regia come istanza totalizzante”. Meldolesi ci dice che si è arrivati alla regia critica dopo il superamento della regia come orchestrazione stilistica, Salvini-Piccoli, come “spettacolo unico”, Costa-Visconti- Eduardo tanto che i “giovanissimi dovevano dimostrare la loro diversità, di essere, come li definirà Alonge: “Scopritori di enigmi e poeti della scena”.
Se la regia italiana, nel ventennio 1947-1967, raggiunse il suo apogeo e fu accettata nelle capitali europee, dagli anni Settanta assiste al suo declino per eccesso di personalismo, di egocentrismo, di intellettualismo di riporto, di formalismo, tanto che la seconda generazione, quella di Trionfo, Missiroli, Cecchi, Castri, Ronconi, Shammah e altri, ricerca metodi differenti per far comunicare il testo con la scena. Non esiste , tra i tanti libri sull’argomento, uno studio completo sulla storia della regia in Italia fino ai giorni nostri, ecco perché propongo, come seconda lettura, intesa come metodo critico, il “classico” di Meldolesi da cui ritengo indispensabile partire.
Claudio Meldolesi, “FONDAMENTI DEL TEATRO ITALIANO. LA GENERAZIONE DEI REGISTI” Sansoni Editore, 1984, pp 574. Ristampa dell’Editore Bulzoni, Roma 2009, € 29