Giotto, la leggenda. A Milano quattordici tavole del Maestro che “inventò” l’arte italiana. In un tripudio di ferro e oro

collage giottoMILANO, mercoledì 2 settembre  ● 
(di Patrizia Pedrazzini) Giotto, o Ambrogio, o Angiolo, di Bondone. Universalmente noto come Giotto. Nato da famiglia di contadini a Colle di Vespignano, non lontano da Firenze, più o meno del 1267, e morto nel capoluogo toscano nel gennaio del 1337. Allievo del pittore Cenni di Pepo, detto Cimabue, che si narra ne scoprì la bravura vedendolo disegnare, poco più che bambino, con un pezzo di carbone, pecore su un sasso. Leggenda? Leggenda. Come quella dello scherzo con il quale il ragazzo di bottega si sarebbe fatto beffe del maestro dipingendo su un tavola una mosca tanto realistica che Cimabue, rientrando, tentò invano di scacciarla. Per poi dire al giovane che lo aveva superato, e che a quel punto poteva anche aprirsi una bottega da solo. Giotto, che secondo Giorgio Vasari era capace di disegnare una circonferenza perfetta senza bisogno del compasso. La “O” di Giotto, appunto.
“Giotto, l’Italia” è il titolo della mostra che Milano dedica, a Palazzo Reale fino al 10 gennaio, all’artista che, nella Firenze a cavallo fra il Due e il Trecento, definì i canoni di quella che sarebbe diventata l’arte italiana. Della letteratura, analogamente, si stava occupando Dante Alighieri.
Un maestro ampiamente riconosciuto in vita, talmente bravo che tutti lo reclamavano: a Roma, a Padova, a Napoli, a Milano, forse ad Avignone. Il primo artista viaggiatore. E lo stesso milanese Palazzo Reale ingloba strutture del palazzo di Azzone Visconti dove, negli ultimi anni di vita, Giotto realizzò due cicli di dipinti murali, oggi perduti.
Quattordici le opere esposte (più cinque affreschi “strappati”): una sequenza di capolavori mai riuniti insieme, a documentare diversi momenti della vita del pittore. Da quando, ancora giovane, era attivo tra Firenze e Assisi per passare all’esperienza padovana, toccare di nuovo Firenze e giungere quindi a Roma, dove conobbe il cardinale Jacopo Caetani degli Stefaneschi, per il quale lavorò.
Una mostra, quindi, di grande prestigio e di indubbia bellezza. A sostenere la quale contribuisce tuttavia, e in grandissima misura, l’eccellente allestimento, firmato dall’architetto e designer Mario Bellini. “Ho pensato a una materia, il ferro, e a un colore, il ‘grigio penombra’, caratteristico delle lastre di ferro nero, così come escono dai laminatoi. Per realizzare una sequenza di ‘altari profani’ sui quali posare le opere. Il tutto immerso in una penombra, appunto, capace di tenere in secondo piano il Palazzo”. Perché Giotto nacque povero e “povera”, ma insieme nobile, come la sua arte, vuole essere, nelle intenzioni di Bellini, anche la mostra milanese.
Ecco allora, nella penombra quasi buia delle sale, tonnellate di ferro da laminatoio, enormi piastre, una orizzontale, l’altra verticale, a fare da supporto alle tavole policrome del pittore. Sorta di zattere intorno alle quali gli spazi, la vastità e l’altezza, si avvertono appena, anche perché i fasci di luce colpiscono, e accendono, solo i capolavori del Maestro. Che a questo punto letteralmente esplodono in un tripudio di oro, di rosso, di blu, di azzurro. Ecco i polittici che hanno fatto la storia dell’arte, da quello di Santa Reparata (di stupefacente modernità il retro, con i suoi sfondi neri), proveniente dalla cattedrale fiorentina di Santa Maria del Fiore, allo Stefaneschi, dipinto per l’altar maggiore della basilica di San Pietro in Vaticano, al Baroncelli (dalla basilica di Santa Croce, a Firenze), con le file di personaggi a formare una sorta di “tappeto” di teste, i cinque pannelli come parti di un’unica scena, gli sguardi tutti rivolti alla parte centrale, le scelte cromatiche raffinate. E gli altri capolavori. Quattordici, in tutto. Non sembrino pochi.

Catalogo Electa

“Giotto, l’Italia”, Palazzo Reale, piazza Duomo 12, Milano. Fino al 10 gennaio 2016.
info: +39 02 92800821
www.mostragiottoitalia.it
www.palazzorealemilano.it