MILANO, venerdì 8 febbraio ► (di Paolo A. Paganini) Cristina Comencini, regista, sceneggiatrice, scrittrice, drammaturga, impegnata nelle battaglie per i diritti civili e la parità di genere, con una quindicina di libri pubblicati, e altrettanti film che le hanno meritato un prestigioso medagliere di premi e ricnoscimenti, ora è al Teatro Manzoni, come drammaturga e regista di “Tempi nuovi”, spettacolo leggero, che tratta, con serena condiscendenza, le rivoluzionarie (e, talvolta, alienanti conquiste) nel campo dei social, delle app, dei chat, di pari passo con le combattute affermazioni sessuali, civili e politiche di questi “tempi”.
Si ribadisce, insomma, senza tanti megafoni, il superamento, reale o apparente, dei retrivi e opprimenti tabù di retaggio ottocentesco (non sempre sopiti), tanto che oggi si può parlare senza scandali, né familiari né religiosi, di libertà sessuale, di relazioni omo, di banche del seme, di genitori dello stesso sesso. E abbasso i libri. Evviva smart, tablet e pc.
Lo spettacolo, tuttavia, di un’ora e dieci senza intervallo, non è scontato. Gentile e accattivante, non ha proclami da fare. È, in un certo senso, tenero e descrittivo, prendendo posizione senza ideologie pregiudiziali. E – miracolo – non si parla di droga e non si dicono parolacce e volgarità. Inoltre, anticipiamolo, scorre lieve, tra molti e divertiti sorrisi. Concludendosi con un trionfale subisso finale di applausi.
Eppure, da un punto di vista semantico, lo spettacolo potrebbe sottintendere, almeno nel titolo, una lieve e possibile sfumatura negativa. Come dire, barbogiamente, da vecchi matusa, in questi “scandalosi giorni nostri”, a fronte di una dilagante maleducazione, di una franante caduta di valori sociali e morali, di una irrisa mancanza di rispetto per scuola e sacre istituzioni, eh, sono i “tempi nuovi”, mio caro!
Ma il testo della Comencini, occorre dirlo, dimostra una onesta buona fede e una presa di posizione a difesa dei princìpi più sopra indicati, senza tentazioni polemiche ma con sorniona amabilità e inevitabile accettazione d’un mondo cambiato. E non sempre al peggio.
Il meccanismo drammaturgico va in automatico.
C’è un marito intellettuale, sulla sessantina, di professione storico e bibliomane. C’è una cinquantenne moglie, giornalista con breve e vantato corso serale di aggiornamento computeristico, cosa che la fa sentire all’altezza dei tempi, soprattutto alla pari, per costume e mentalità, con il figlio studente, prossimo alla maturità, e con la figlia laureata, che vive ormai fuori casa.
Assolto il nostro “dramatis personae”, vediamo cosa rappresentano in scena.
Il marito, vecchiardo e superato, si dà per scontato che non capisca niente dei nuovi tempi.
La moglie, giovanilistica e competitiva, è compiaciuta della propria libertà di pensiero.
Il figlio maturando compiange il fanatismo del padre per i suoi dodicimila libri, e si vanta di non averne mai letto uno. Già tanto, su wikipedia c’è tutto.
Ma la figlia, che vive fuori casa, scatena ora un piccolo dramma domestico, che scompiglia le carte in gioco. Arriva dicendo che aspetta un bambino. Lacrime di gioia per il futuro nipotino. Ma quando la timorata fanciulla spiega che non è lei ad aspettarlo, ma la moglie-compagna (di cui nessuno sapeva niente), che l’ha concepito con la banca del seme, si sviluppano e si oppongono le diverse posizioni. Ma entrambe, madre e figlia, solidarizzano sentendo di condividere le loro rispettive responsabilità genitoriali.
Ecco fatto. Le carte sono distribuite. Vediamo come sono giocate.
Il padre da vecchio bacucco si rivela improvvisamente un fanatico del web e dei nuovi linguaggi tecnologici. E rimane indifferente, visti i tempi, alle rivelazioni della figlia.
Il maturando, stupito, pensa che il padre sia impazzito. Ma quando ha bisogno di lezioni storiche sulla Resistenza, non esita a rivolgersi allo storico di casa.
La madre, da presuntuosa illuminata dei nuovi tempi, si trova invece a bigotteggiare, soprattutto scandalizzata dall’indifferenza del marito. E poi confessa, come rivalsa di libertà, che anche lei, prima di sposarsi, aveva avuto una storia con una compagna.
Infine tutti vincono la partita. Il padre ritorna agli amati libri; alla madre il ruolo di nonna senza un genero le andrà anche bene; il maturando riconoscerà quanto è comodo un padre storico, che sa tutto sulla Resistenza. Ed anche il neonato, anche se non avrà un padre, sarà contento di avere un amatissimo nonno, del quale porterà perfino il nome di battesimo.
Tutti felici e contenti, dunque. Pubblico compreso, come s’è detto.
Maurizio Micheli (subentrato alla svelta dopo la prematura scomparsa di Ennio Fantastichini ai primi dello scorso dicembre), come padre-nonno, tira fuori tutta la sua verve di attore brillante, tutta la sua straordinaria abilità di adattarsi a qualsiasi pesonaggio, con una vincente simpatia e spontaneità naturale, arricchita da anni di palcoscenico.
Iaia Forte (bel curriculum di esperienze teatrali, oltre che cinematografiche e televisive), è una moglie e madre condiscendente e in linea con i “nuovi tempi”, ribadendo che, in fondo, l’amore, in qualsiasi epoca e in qualsiasi età e forma, è sempre nuovo e degno di essere vissuto.
Un particolare plauso a Sara Lazzaro e Nicola Ravaioli, esemplari nei loro ruoli di figli, rappresentanti di una nuova ma non malvagia generazione (che non sappiamo se, oggi, nei “nuovi tempi”, sia più felice di quella dei “vecchi tempi”).
Si replica fino a domenica 24 febbraio.