(di Andrea Bisicchia) – Per il teatro sono stati scritti tanti libri necessari, il cui valore accademico è dato dalla qualità della ricerca e dalle conoscenze dell’argomento trattato. Esistono, però, altri libri, altrettanto necessari, che mettono a contatto l’uomo con l’artista e che ne tracciano le qualità straordinarie, oltre che i difetti.
Nel giro di pochi mesi sono stati pubblicati due libri su Strehler, uno di Alberto Bentoglio: “20 lezioni su Strehler”, edito da Cue Press, e uno di Cristina Battocletti: “Giorgio Strehler. Il ragazzo di Trieste – Vita morte e miracoli”, edito da La nave di Teseo, se il primo appartiene alla ricerca erudita e accademica, il secondo appartiene al genere narrativo, nel senso che l’autrice, dopo essersi documentata sul vastissimo materiale archivistico, ha aggiunto delle testimonianze di tanti che hanno lavorato con lui e che ne hanno conosciuto la genialità.
Il volume della Battocletti si legge, pertanto, come un romanzo d’avventura, visto il suo protagonista, costruito con somma sapienza, avendo distribuito la ricerca erudita in tanti avvenimenti che stanno a base dell’avventura umana e artistica di Strehler, con qualcosa in più, che ha a che fare col teatro dell’oralità, nel senso che, se il testo venisse drammatizzato, potrebbe essere rappresentato da un attore come Marco Paolini, date le sue origini venete. Ciò sarebbe possibile avendo, la Battocletti, scritto il suo libro come un “copione”, diviso in sette parti, ciascuna in cinque atti, con sei intervalli e con chiusura di sipario a sorpresa.
Attraverso i vari atti, l’autrice ci racconta le origini triestine, la città della luce, che diventerà il pensiero assillante di tutte le messinscene, non quella del lighting designer, bensì quella dell’elettricista, dato che il Maestro rifiutava la consolle computerizzata, a vantaggio della luce fredda e naturale che solo il bravo artigiano riesce a catturare.
Segue il racconto del rapporto con la mamma, quasi edipico, tanto che il suo corpo verrà tumulato nello stesso cimitero di Trieste, in una tomba poco curata, avendo fatto, la Battocletti, molta fatica a trovarla, quindi quello del nonno e del papà, benché li avesse poco conosciuti, ben sapendo che entrambi si fossero occupati dei teatri della città, come organizzatori.
Seguiranno il trasferimento a Milano, il diploma all’Accademia dei Filodrammatici, i primi anni trascorsi come attore, il matrimonio con Rosita Lupo che, col suo stipendio di mille lire al mese, lo aiutava a sopravvivere, gli anni della clandestinità, l’incontro con Grassi, la crisi matrimoniale, mentre metteva in scena spettacoli di Pirandello, Eliot, Camus, quindi la nascita del Piccolo, con i Dioscuri che pongono le basi di un modello di teatro che presto sarà ripreso da altre città, prima fra tutte Genova, con Ivo Chiesa.
Anche la storia del Piccolo viene presentata come un romanzo d’avventura, tra assillanti problemi economici, tra liti ai limiti della tragedia: “Vado a comprare un’arma e lo ammazzo” urlava Strehler contro Grassi, a cui rispondeva la Vinchi, facendogli notare che non aveva una lira in tasca. Non mancarono le epurazioni, quella del cattolico Mario Apollonio e quella del comunista Vito Pandolfi. Nel frattempo si moltiplicavano i grandi successi e la fama di Strehler arrivava in Europa e nel mondo. Con i successi, si moltiplicarono gli amori, per la Vanoni, per Valentina Cortese, per Andrea Jonasson.
Nel ’68 arrivano anche le accuse contro il “reazionario e destrorso” Strehler, il quale risponde con delle invettive che coinvolgono il modo di fare teatro di Grotowski e del Living di cui accusa le “banali nudità”, che “scimmiottavano la volontà di spogliarsi dalle sovrastrutture sociali”, mentre tra il disprezzo e l’indignazione urlava: “Tutti contro di me”.
Sono gli anni in cui spuntano i nomi di Trionfo, Cobelli, Castri, Ronconi, ma Strehler non si lascia allontanare dal Piccolo, deciderà lui di lasciarlo e di ritornarvi dopo il passaggio di Paolo Grassi alla Scala. Qualcuno dirà: cose note, solo che è nuovo il modo con cui vengono raccontate, vedi le pagine dedicate all’amore per Andrea che, da regina, diventerà dama di corte, essendo stata soppiantata da Mara Bugni, una giovanissima studentessa di estetica della Statale di Milano, che sarà spettatrice involontaria della sua morte.
Cristina Battocletti fa sempre dei distinguo, come quello che riguardava il modo di far politica dei Dioscuri, Grassi pragmatico, con la volontà di portare i lavoratori a teatro, o di portare il teatro ai lavoratori, utilizzando il Circo Medini, Strehler convinto che la politica si fa interpretando i testi, alla luce della contemporaneità.
E, a proposito di politica, invito a leggere l’atto in cui viene rappresentata la truce storia del nuovo teatro, con Strehler costretto a evocare più volte le dimissioni, vista l’ottusità della Destra leghista, andata al potere, a dimostrazione di quanto sia volgare e iniqua la politica quando utilizza, non la ragione, ma i dispetti. Solo Albertini si mostrò al di sopra delle parti.
Cristina Battocletti, “Giorgio Strehler. Il ragazzo di Trieste. Vita, morte e miracoli” – Ed. La nave di Teseo 2021 – pp. 420 – € 20.
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