Gli eccessi di Michieletto nel “Libertino” di Stravinskij con cinque interpreti che hanno superato se stessi

Desktop4PUBBLICATO IL 29 GIUGNO 2014
(di Carla Maria Casanova) Dimenticare Hogarth. Dimenticare il ciclo pittorico settecentesco in mostra a Chicago nel 1947 e che a Stravinskij, quando lo vide, fornì di botto lo spunto e il soggetto per l’opera in lingua inglese che aveva in mente di scrivere fin dal 1939, quando si era trasferito negli USA. William Hogarth, da sempre, è stato il punto di riferimento cui fa capo l’opera in questione: “The Rake’s Progresss” (La carriera di un libertino).
Le sue tavole raccontavano le disavventure di uno sfaticato ragazzo provinciale che, trasferitosi a Londra, dilapida i propri beni, sposa una vecchia ricca megera, perde di nuovo tutto al gioco, viene incarcerato per debiti e muore in manicomio invano soccorso dalla fedele prima fidanzata.
Conquistato dalla storia, Stravinskij affidò la stesura del libretto alla formidabile coppia W.H Auden-Chester Kallmann i quali rimaneggiarono il tutto aggiungendo la sulfurea figura di Tom Shadow, il diavolo che porterà il protagonista al libertinaggio e alla rovina. Dimenticare Hogarth, adesso, riguarda lo spettacolo in scena da venerdì alla Fenice di Venezia (dove ebbe luogo la prima mondiale, l’11 settembre 1951) in quanto, la regìa essendo di Damiano Michieletto (scene Paolo Fantin, costumi Carla Teti) era forza maggiore che l’atmosfera fosse stravolta in una lettura del tutto diversa. Il soggetto, peraltro, induce ad essere tra i più consoni alla personalità del regista veneziano. E per certi versi così è stato, con una realizzazione (punk?) fantasiosa e in alcuni punti magistrale.
Però da Michieletto, che proprio alla Fenice ha prodotto in questa chiave un “Così fan tutte” formidabile, si sperava qualcosa di più. Cioè, di meno. L’ammucchiata del bordello del secondo atto va veramente oltre le righe. Resta tuttavia il lavoro sugli interpreti (cinque i principali, di cui tre protagonisti assoluti, e persino il coro) che, a detta dello stesso Michieletto, hanno superato se stessi nell’assecondare ogni sua richiesta, spesso al limite della messa in opera, come il soprano che canta sdraiata e rovesciata, tenore baritono che si assaltano, spiccano salti, rotolano, si coprono di fango a torso nudo… Questi eroi si chiamano Carmela Remigio, Juan Francisco Guatell (protagonista), Alex Esposito (Nick Shadow al di là di ogni elogio). E bene anche le longilinee ultrasexy (una bruna e una bionda) Natascha Petrinsky (Baba la turca) e Silvia Regazzo (Mother Goose).
Mi rendo adesso conto di aver dato per scontata l’opera di Stravinskij, vale a dire la musica di questo capolavoro. Stravinskij aveva guardato soprattutto a Mozart (al “Don Giovanni”, di cui riprende il finale con ” la morale” cantata dagli interpreti alla ribalta, e molto anche al “Flauto Magico”, avendo in mente di musicare una sorta di singspiel). Per farla corta, userò per “La carriera di un libertino” la definizione data dallo stesso musicista: “un’ opera di numeri del Settecento dove lo sviluppo drammatico si basa sulla successione di pezzi chiusi”. Sappiamo che, all’ascolto, si riconosce anche un ritmo da melodramma italiano dell’800, con arie e cabalette e un tessuto orchestrale melodico dove spicca il particolarissimo uso stravinskiano dei fiati (ah, quel fagotto!).
Alla Fenice, ci è parso che questo tessuto orchestrale fosse da rendere con più flessibilità di quanto non abbia fatto il giovane direttore stabile Diego Matheuz. Comunque sia, successo incontrastato.
Venezia – Teatro La Fenice, repliche: domenica 29; martedì 1 e giovedì 3 luglio; sabato 5 – L’opera è eseguita in lingua inglese con sopratitoli.
www.teatrolafenice.it