(di Andrea Bisicchia) Le indagini su un periodo storico sono, spesso, conseguenza della necessità di applicare i propri apparati teorici, confortati dalle proprie ricerche erudite e professionali. Accostarsi all’Umanesimo, dopo una bibliografia sterminata sull’argomento, per dare un contributo di novità interpretativa, potrebbe sembrare impossibile. Tutt’al più si possono meglio delineare certi accostamenti, certe sistemazioni, certe “letture”, caratterizzate da matrici diverse.
Uno storico del teatro, per esempio, ricerca nell’Umanesimo gli inizi di quella modernità che cercò di contrapporsi alla teatralità diffusa del Medio Evo. Ripristinando la necessità dei “generi”, come la Commedia e la Tragedia.
Lo storico dell’arte va a scoprire, nel passato, le fonti, anch’esse moderne, di concepire la pittura, l’architettura, la scultura.
Il filosofo va alla ricerca di quanto del pensiero filosofico greco sia presente in Cusano, Ficino o Pico della Mirandola che, col loro neoplatonismo, posero le basi interpretative dell’estetica del bello o dell’“imitatio” che costituiscono l’ossatura del pensiero umanistico. La prima domanda che un filosofo si fa, circa questo periodizzamento, riguarda il nesso esistente tra filologia e filosofia, tra teologia e filosofia, tra arte figurative o architettonica e filosofia.
Sono domande che si pone Massimo Cacciari in “La mente inquieta. Saggio sull’Umanesimo”, edito da Einaudi, alle quali cerca di dare delle risposte dialogando con gli studiosi del passato e del presente, come si evince dalla ricerca ragionata della vasta bibliografia che accompagna la sua tesi sulla coscienza della creatività umana che contraddistinse l’Evo moderno, quello iniziato proprio con l’Umanesimo.
La modernità è legata al concetto di creatività e, a sua volta, di cambiamento, fatto di nuove forme di invenzione, dato che la mente mette in discussione per trovarne delle altre. Quale arte, del resto, sarebbe potuta nascere senza l’apporto di un pensiero forte, capace di sostenerla, anche quando questo pensiero, lo si eredita dal passato e lo si ricompone attraverso la filologia, quella di Valla, Salutati, Alberti, ai quali faranno ricorso filologi moderni come August Bockh o Wilamowitz, la cui “auctoritas” determinò lo sviluppo della stessa filosofia.
Cacciari divide la sua ricerca in cinque capitoli, distinguendo tra Humanismus e Umanesimo, tra Philosophica e Philologia, tra Umanesimo dotto e Umanesimo tragico e, ancora, sulla necessità di una “pace impossibile”, sostenendo che, senza conoscenza, non possa esserci erudizione, così come senza il linguaggio non possa esserci l’essenza stessa dell’Essere. Non per nulla, l’Umanesimo riporta al centro dell’indagine l’uomo, oltre che il testo che non può essere tradito, bensì interrogato, una interrogazione che assuma pregnanza filosofica. Visto che, l’epoca in esame, corrisponde a un periodo di crisi da intendere come frattura. Come lacerazione.
Massimo Cacciari, “La mente inquieta. Saggio sull’Umanesimo”, Editore Einaudi 2019, pp 112, € 18.