“Gli Ultimi Jedi”: il coraggio di rompere col passato mitico e di reinventare la saga. Così Star Wars ha ancora un futuro

(di Noblat) Dopo un settimo episodio, “Il Risveglio della Forza”, infarcito di battute non sempre riuscite e costruito su una trama poco convincente, questo ottavo capitolo di Guerre Stellari, “Gli Ultimi Jedi”, è decisamente più riuscito e, seppur “disneyano”, sicuramente in linea con ciò che è stato costruito, pur con qualche sbandamento, dal 1977 ad oggi.
E “in linea” è il massimo che gli si può concedere. Difatti, se nell’episodio precedente il tema era quello del conflitto e del bisogno di una figura di riferimento, e l’intero film era sostanzialmente un lungo omaggio al primo capitolo della trilogia originale, con questa ottava aggiunta alla saga il tema vira e diventa per assurdo proprio il voler tagliare tutti i ponti, rompere con il passato, mostrare al mondo perché effettivamente si possa e quasi si debba proseguire un filone che sembrava concluso. Perché se si possono apportare critiche a “Gli Ultimi Jedi”, tra cui l’eccessiva lunghezza, una trama soprattutto nella prima parte zoppicante, alcuni grossolani buchi nella sceneggiatura, di sicuro a questo film va riconosciuta una qualità: il coraggio.
Il coraggio di voler prendere quella che praticamente è una mitologia cinematografica e ampliarla, aggiungervi qualcosa di nuovo, fresco, impattante, esattamente come era stato fatto per le due trilogie precedenti. Ma, soprattutto, il coraggio di prendere i pilastri di quella mitologia e distruggerli, reinventarli, facendo da una parte gridare all’eresia e al ridicolo i veri appassionati, ma offrendo dall’altra la possibilità di poter finalmente prendere il largo senza più fardelli il cui peso era diventato insostenibile, per mostrare qualcosa di innovativo.
Il compito è stato affidato da “mamma” Disney al regista Rian Johnson che, senza farselo ripetere due volte, ha eseguito in maniera impeccabile. In questo nuovo capitolo abbiamo una trama che inizialmente sembra identica a “L’Impero colpisce ancora”, ma che poi prende una piega tutta sua e originale, seppur con alti e bassi e a tratti ripetitiva. Abbiamo mondi, creature, persone, tecnologie creati da zero, senza banali e tediosi e inutili riferimenti al passato. Abbiamo temi più seri, meno battute, il tutto condito da abbondanti quote d’azione e tensione. Certo, “Gli Ultimi Jedi” è e resta quello che ormai, visti i tempi, si può definire un blockbuster disneyano, un film che dal punto di vista di musiche, effetti speciali, fotografia non ha rivali, che presenta una trama e una storia non da cardiopalma ma comunque solida, che gioca molto con se stesso, prendendosi in giro, infarcendo i suoi 152 minuti di battute, spesso per niente comiche, anche se, almeno questa volta, sembra che si siano trattenuti.
Ma il coraggio di questo film nel tagliare i ponti col passato, non di rado maldestramente, incespicando su banalità assolutamente evitabili, non potrebbe mai reggere fino alla fine se non fosse sostenuto da un altro tema fondamentale: il rapporto tra Maestro e Apprendista. È questo forse il punto di forza di “Gli Ultimi Jedi”, un concetto diametralmente opposto a quello del settimo episodio e della sua ricerca di una figura di riferimento. L’obiettivo, il vero scopo di questo ottavo Star Wars (voluto o meno dalla Disney non ha alcuna importanza), è proprio quello di mostrare come la figura di un Maestro sia fondamentale, come il compito di un Maestro sia difficile, ostacolato da imprevisti e debolezze, dove spesso non è l’Apprendista a deludere ma a venire deluso, e, soprattutto, come il fine ultimo e insieme il fardello di un Maestro sia quello di essere il terreno fertile ove far crescere una nuova speranza per poi lasciarla libera di prendere la propria strada, volenti o nolenti. Questo il fil rouge che attraversa il film, il quale spesso non sembra nemmeno rivolto allo spettatore, ma a se stesso, al settimo episodio, alla saga che l’ha preceduto e ai capitoli che seguiranno.
Una saga che si è costruita e consolidata in 40 anni di cinema, che ha preso generazioni per mano e le ha fatte crescere, che ha mostrato e insegnato tanto, che rappresenta un terreno ancora fertile su cui raccontare, ma che ha e aveva bisogno di un distacco e di una rinascita. O, meglio, di una nuova speranza.