Grande Carsen. Momenti straordinari! Cantare addirittura dietro il direttore. Costumi travolgenti. E un’infinità di trovate

MILANO, domenica 7 maggio ► (di Carla Maria Casanova) Il mio amato Carsen. Geniale. Attestazione così smaccata è del tutto antiprofessionale, lo so. Ma quando ce vo ce vo. Specie in tempi di scarsa presenza di idee da parte di tanti operatori di teatro, un regista così fitto di invenzioni merita ogni elogio.
Questo Don Giovanni (di Mozart) andato in scena ieri sera alla Scala è una ripresa (inaugurò la stagione nel 2011).
Quindi già visto.
Facciamo che sia nuovo, altrimenti superfluo parlarne. Già sistemare don Giovanni nel palchetto di proscenio, farlo balzare sul palcoscenico e fargli dare uno strappo al sipario che viene giù tutto e così dare il via allo spettacolo, è una ideuzza. Le scene, si potrebbe dire che non ci sono. Si tratta di vasti pannelli che riproducono il sipario (quello della Scala) e scivolano sul palco creando gli spazi. Ogni tanto i macchinisti li fanno girare (i pannelli) mettendo in vista l’intelaiatura con un senso di “dietro le quinte” che dà realismo allo spettacolo.
Ma ci sono momenti davvero straordinari: le tre maschere che arrivano dalla platea e si mettono a cantare alla balaustra del golfo mistico, ma al di qui, cioè dando le spalle al direttore. Ho cercato di appurare se ci fosse da qualche parte in sala la lucetta rossa del ripetitore per dare gli attacchi, ma non l’ho vista. Cantano “a memoria”. Poi la festa con tutti i partecipanti vestiti allo stesso modo con ricchi, travolgenti abiti di velluto rosso, così che don Giovanni -“cavaliere estremamente licenzioso”, dice il libretto – possa far scomparire Zerlina per le sue basse mire senza che il fidanzato (di lei) Masetto se ne accorga. Nella festa, affinché il “viva la libertà” abbia la valenza sesso-godereccia che si ripromette, Carsen fa venire tutti in avanti, con mosse malandrine. Disinibite, non volgari. È una trovata registica da maestro spartire il palcoscenico su due piani per fare assistere don Giovanni (fuori campo) a quel che succede altrove. È una trovatina amena mettere appresso a donna Elvira, l’eterna girovaga, una valletta che le porta i trolley. Alla fine, far apparire  il Commendatore in palco reale è forse dejà vu, ma fargli infilzare don Giovanni con lo stesso spadino con cui il donnaiuolo ha ucciso lui, è magistrale.
Insomma, grande Robert Carsen, come sempre.
Sul lato musicale è andata bene, sia pur non benissimo. Forse l’orchestra della Scala, diretta da Paavo Järvi, era un po’ fiacca. Forse Thomas Hampson, baritono elegantissimo avvezzo al repertorio cameristico, grande interprete wagneriano, nei panni di don Giovanni  non è più particolarmente in ruolo (nel 2014 è stato Commendatore!). Il Commendatore, da parte sua, il polacco Tomasz Konieczny, ha esibito una pronuncia bizzarra di tendenza pugliese “Ah ribeldo (ribaldo)! Dammi la meno (mano)…”  Hanna-Elisabeth Müller (donna Anna) è giovane e graziosa, ha bellissime mani, si muove bene, e canta con la proprietà di chi ha studiato. Cosa volere di più? La voce. La sua ha un timbro perforante ai limiti della sopportazione. Inoltre, non le si capisce una sola parola. Forse è un effetto delle mie orecchie. Un giovane spettatore mio vicino (cantante!) la definisce una interprete deliziosa.
Fine delle lamentele.
Tutti gli altri bene. Bernard Richter, don Ottavio, ha cantato alla grande la difficile aria “dalla sua pace”; Anett Fritsch, Donna Elvira, ha bella voce corposa e regge con autorevolezza anche il registro acuto (“mi tradì quell’alma ingrata”). Ottimi i tre italiani del cast: Luca Pisaroni, Mattia Olivieri, Giulia Semenzato. Pisaroni (Leporello) nella vita è genero di Thomas Hampson, il che non significa niente: è tanto per dire. Sulla scena si comporta benissimo ed è quello che qui conta. Olivieri, trentaduenne baritono di ottime referenze, ha disegnato con abilità il misero cornutissimo Masetto; Giulia Semenzato, giovane soprano veneziano specializzatasi nel repertorio barocco, poi Mozart e Rossini, svetta nel ruolo di Zerlina. Tutta gente preparata e con qualità da grande teatro. Bene bene. Applausi. Carsen non c’era. Sarebbe stato molto festeggiato. Lo spettacolo dura (quasi) quanto (certo) Wagner: 3 ore e 35 minuti.

Teatro alla Scala – “Don Giovanni”, di W. A. Mozart. repliche 9,12,14,17,19,28,31 maggio, 3 6 giugno.