MILANO, lunedì 15 maggio ► (di Paolo A. Paganini) “Non vogliamo offrire soltanto uno svago né una contemplazione oziosa e passiva: amiamo il riposo non l’ozio; la festa non il passatempo… Il teatro resta quel che è stato nelle intenzioni dei suoi creatori: il luogo dove una comunità ascolta una parola da accettare o da respingere. Perché anche quando gli spettatori non se ne avvedono, questa parola li aiuterà a decidere nella loro vita individuale e nella loro responsabilità sociale…”.
Così Paolo Grassi e Giorgio Strehler firmavano il programma di sala dell'”Albergo dei poveri”, di Massimo Gorki. Un programma di fede e coerenza, rispettato da Strehler fino alla morte.
Era il 14 maggio 1947. In scena, tra gli altri, Marcello Moretti, Lilla Brignone, Lia Zoppelli, Gianni Santuccio, Mario Feliciani, Elena Zareschi, Antonio Battistella, Tino Bianchi, Salvo Randone, e Giorgio Strehler, che suonava la fisarmonica nei panni del calzolaio Alioscia… Regia, traduzione e adattamento di Giorgio Strehler.
Sull’angusto palcoscenico del Broletto, appena nato fra le mura di un luogo di dolore e di terrore, fra quelle pareti ancora macchiate di sangue, su quell’angusto palcoscenico, dicevamo, c’erano già i nomi di mezzo teatro italiano del dopoguerra.
“La sua edizione è fra quelle che si ricorderanno…”, commenterà Giancarlo Vigorelli sull'”Europeo”.
“C’è una intrepretazione massimalista tendente a sottolineare i valori polemici sociali… Uno spettacolo denso, serrato, condotto alla significazione profonda e alla minuzia descrittiva. Strehler ha anima sensibile oltre che tecnica ferma…”: così sottolineerà Silvio Giovaninetti su “Ovest”.
“La rivelazione di una estrema autorità… Tutti gli attori eccellenti, merito della regia, ma anche sacrosanto merito degli attori, tra cui si allineavano alcuni degli interpreti più vivi, più intelligenti, meno affaticati dal mestiere ed impigriti dai facili successi che il nostro teatro abbia la fortuna e l’onore di possedere…”, concludeva Gian Maria Guglielmino su “Sipario”.
Da allora, tanti fatti, avvenimenti, storie, vittorie e delusioni si sono avvicendati nel nostro quotidiano. Un lungo corteo di luci e ombre ha accompagnato questi 70 anni di vita civile, politica, culturale, artistica. Ma sono stati soprattutto 70 anni di amore, di entusiasmo, che il Piccolo Teatro ha saputo mantenere e rispettare, partendo da quell’epica evangelizzazione artistica e sociale così solennemente annunciata, come una specie di giuramento sul Vangelo, da Strehler e Grassi nel 1947.
Sarebbe bello, e forse doveroso, ricordare quanti hanno contribuito al successo di questi 70 anni di spettacoli. In piccola misura, ci piace ricordare almeno quanti hanno dedicato milioni di parole e di fatti in fatiche notturne in gloria dello Stabile milanese: i Nostri Signori Critici.
Sì, Via Rovello ha dedicato un solenne memorial a Roberto De Monticelli, scrittore, saggista e critico teatrale del “Corriere della Sera”, nel trentennale della sua scomparsa (1987). In un certo senso, li ha rappresentati tutti, i critici, che da allora hanno dedicato le loro cronache agli spettacoli del Piccolo Teatro. Forse tutti quei nomi stanno già uscendo dall’archivio mnemonico dei cultori di teatro. Ricordiamoli, secondo l’anno della scomparsa, assegnando loro il posto che hanno meritato negli annali del Piccolo. A cominciare da quel 1987, nel trentennale di De Monticelli.
Carlo Terron (1991), già primario dell’Ospedale psichiatrico di Verona, e poi drammaturgo e fulgido critico della milanese “La Notte” dal 1955 al 1977. Responsabile dei programmi Rai della prosa, fin dal periodo sperimentale del 1952.
Giorgio Polacco (triestino come Strehler), morto nel 1992 in un incidente sulle sue amate Dolomiti. Critico del “Piccolo” di Trieste, collaboratore negli uffici stampa sia dello Stabile triestino sia del Piccolo di Milano. “… Il più fantasioso, il più sregolato, il più imprevedibile e il più acuto della banda dei triestini“, lo ricorderà affettuosamente l’amico Strehler.
Odoardo Bertani (1999), un bolognese dal tratto sempre impeccabilmente signorile e ironico, storico del teatro, saggista e critico di “Avvenire”.
Ugo Ronfani (2009), dopo una lunga permanenza a Parigi come corrispondente artistico culturale, critico, romanziere, vice-direttore del “Giorno”, fondatore di “Histrio”.
Franco Quadri (2011), già direttore della Biennale di Venezia (1983/1988), critico di “Repubblica”, “Sipario” e “Panorama”; editore di Ubulibri, direttore del “Patalogo”.
Gastone Geron (2012), gioviale veneziano, giornalista prima al “Gazzettino”, poi cofondatore, con Indro Montanelli, del “Giornale”, di cui fu arguto e profondo critico teatrale. Era considerato uno dei massimi conoscitori dell’opera goldoniana.
Carlo Maria Pensa (2014), critico e drammaturgo, specie di commedie meneghine scritte per Piero Mazzarella. Giornalista del “Corriere Lombardo”, di “Epoca”, e direttore di “Bella Italia”.
Domenico Rigotti (2014), per quasi cinquant’anni critico di teatro e balletto di “Avvenire”. Studioso di rara coerenza morale, era un curioso e meticoloso scavalca montagne teatrale alla ricerca degli spettacoli più meritevoli di conoscenza e divulgazione.
A questi, e ad altri carissimi amici e critici, va il nostro tributo di riconoscenza e di ricordo. Simbolicamente c’erano anche loro, ieri sera nel chiostro di Via Rovello a festeggiare in gioiosa letizia i 70 anni del Piccolo Teatro. Un bicchiere alla memoria.