Grande successo di Chénier alla Scala. Ma direzione, voci, regia e scene molto contestabili. In confronto al passato

MILANO, giovedì 4 maggio ► (di Carla Maria Casanova) Ripresa di Andrea Chénier di Umberto Giordano ieri sera alla Scala. Andrea Chénier non è un’operaccia verista come alcuni vorrebbero, anche se non è di quelle partiture affascinanti dove non c’è una nota di troppo né una di troppo poco e, quelle che ci sono, sono tutte meravigliose. Però Chénier è una opera che può far sognare, trasportare, suscitare entusiasmi frenetici, magari anche piangere. Ed è entrata nel repertorio popolare con arie celeberrime quali La mamma morta (soprano) Come un bel dì di maggio (tenore), Nemico della patria (baritono).
Ma è una questione di interpreti, come quasi sempre succede nel melodramma. Ieri sera si è registrato grande successo di pubblico. Certamente esagerato, per non dire altro. Ai “miei tempi” ci sarebbero stati fischi. E all’uscita dal teatro molti dicevano “Ma che brutta opera”. Oramai tutti sanno che sono vecchissima, ma ben venga. Vi assicuro che lo Chénier del 1955 (Del Monaco – Callas, dir Votto) fu un’opera meravigliosa, così nel 1959 (Del Monaco / Corelli – Tebaldi – Bastianini, dir Gavazzeni) e nell’82 e poi ’85 (Carreras / Martinucci – Anna Tomowa Sintow / Eva Marton, direttore Chailly). Con un salto di più di trent’anni, Chénier tornò alla Scala nel 2017 protagonista Yusif Eyvazov, e con Anna Netrebko e Luca Salsi. Lo sconosciuto giovane tenore russo era stato imposto dalla di lui neo consorte, la diva Netrebko e molti gridarono allo scandalo. Magari avevano ragione. Però, a conti fatti, nonostante l’incontestabile splendore della voce della Netrebko, il tenore con voce non bella ce la mise talmente tutta nella accurata linea di canto e nella partecipazione personale che riuscì a convincere più di lei, che sulla partecipazione non eccelle.
Sono passati altri 6 anni, non un’eternità ma per un cantante a volte contano molto. Yusif Eyvazov ha un timbro vocale decisamente infelice, con tre colori diversi di cui nessuno bello. Però, accidenti, canta sicuro e canta molto bene. Dizione perfetta. Slancio così appassionato che finisci per credergli. Con lui Sonya Yoncheva (Maddalena di Coigny). Già non mi aveva convinta nella recente Fedora scaligera e continua a non convincermi. Sarà questione di gusto (mio). Inoltre, la dizione è molto approssimativa e scarso il coinvolgimento. Gérard doveva essere Ambrogio Maestri. Indisposto, è stato sostituito all’ultimo momento da Luca Salsi, baritono che oggi va per la maggiore, non molto raffinato ma a suo perfetto agio in questo personaggio e direi senza esitare che è stato il migliore. Ammirato stupore suscita nel cast il nome di Elena Zilio (Madelon) che ancora si difende nonostante l’anagrafe davvero sorprendente (classe 1941).
Si passi al direttore: Marco Armiliato. Nulla da spartire con Votto, Gavazzeni o Chailly per non parlare di De Sabata che aveva diretto Chénier nel 1951 (del Monaco-Caniglia). Marco Armiliato aveva ieri sera una gran fretta o, forse, paura di non farsi sentire, per portare la sonorità dell’orchestra della Scala al massimo, tutta uguale, senza sfumature, con il risultato di alzare il volume anche ai cantanti (in gergo volgare si dice “urlare”). Urla che a certo pubblico comunque piacciono, quando si confonde urlo con acuto e più è forte meglio è. Quindi applausi ai limiti della ovazione. Eyvazov sembrava lui stesso stupito (a ragione) da tanto entusiasmo e ringraziava così commosso da fare tenerezza.
Lo spettacolo scenico, firmato da Mario Martone, non rispecchia le qualità per le quale il regista è molto apprezzato (la sfilata dei rivoluzionari che inalberano le teste dei decapitati, simili a maschere di Carnevale, è per lo meno di cattivo gusto).
Finiamola lì. Tutto è bene quel che finisce bene. Ma vi assicuro che Andrea Chénier, diretta e cantata come si deve, non è per nulla una brutta opera.

Repliche: maggio: sabato 6, giovedì 11, martedì 16, mercoledì 24, sabato 27 ore 20. Domenica 21 ore 14,30.