Ha atteso cent’anni. Infine, anche il più prolifico e infelice scrittore veronese, Emilio Salgari, ha il suo monumento

collage salgari interno(di Paolo A. Paganini) Verona non è solo una terra di fortunate congiunture fra arte, natura, buona tavola, felici bevute, insigni monumenti, che, tutti insieme, fanno una voluminosa enciclopedia di sapide ricette di saper vivere. E poi le sue celebri manifestazioni: la stagione lirica dell’Arena, al di qua dell’Adige, e quella shakespeariana del Teatro Romano, al di là dell’Adige.
Sotto il ponte di Castelvecchio e il ponte della Pietra (entrambi fatti saltare dai tedeschi in fuga e ricostruiti, pietra su pietra, nel dopoguerra) ne è passata di acqua lungo le sponde della Storia. Ma Verona non dimentica. Magari tardi, ma non dimentica.
Si è ricordata, gli anni scorsi, del proprio vate, Berto Barbarani, con un pregevole monumento in Piazza delle Erbe (più volte pittoricamente celebrata dall’altro famoso veronese, Angelo Dall’Oca Bianca). Ed ora si ricorda, dopo più di un secolo, dell’altro suo grandissimo ed infelice figlio, Emilio Salgari. Già dopo la sua morte, era stato progettato di erigergli un monumento. Poi non se ne fece più niente. Ora però, con un’opera dello scultore Sergio Pasetto, collocata in Via Cappello, davanti all’ingresso della Biblioteca Civica, promossa e voluta dall’Associazione Culturale Fantàsia, Verona rimedia a un lungo ed ingiusto ritardo.
Autore di romanzi d’avventure, che hanno acceso la mente di un’infinità di giovani, Emilio Salgari nacque a Verona il 21 agosto 1862 e morì suicida a Torino il 25 aprile 1911. Scrisse, senza mai muoversi dal tavolino, centinaia di avventure tutte ambientate in giro per il mondo.
Citiamo, per buona memoria, “Il Corsaro Nero”, “Le Tigri di Mompracem”, “I pirati della Malesia”, “I misteri della jungla nera”, “Sandokan”, “La regina dei Caraibi”, “Jolanda la figlia del Corsaro Nero”, “Le due tigri”, “Il figlio del Corsaro Rosso”, e il web aggiunge sbrigativamente la dicitura “Altri 28”! Ma sono molti di più, oltre 80, per non parlare di racconti, storie fantastiche e articoli.
Già i pochi titoli indicati sopra sono sufficienti a darci un’idea della straordinaria vena immaginifica dello scrittore che, giovanissimo, seguì a Venezia i corsi dell’Istituto Nautico per ottenere il diploma di capitano di lungo corso. Ma dovette interrompere nel 1881. Divenne però quasi subito capitano di lungo corso veleggiando sui mari della fantasia.
Tornato a Verona, intraprese l’attività giornalistica. Nel 1892 sposò l’attrice di teatro Ida Peruzzi. Nel 1894, si trasferì in Piemonte, a Cuorgnè, e nel ’98 a Torino, dove Salgari si diede a una frenetica attività di scrittore a contratto per diversi editori, tra mille difficoltà di vario genere, scrivendo tre libri all’anno per far fronte ai molti debiti che si accumulavano, soprattutto per le cure che dovette sostenere a causa della salute mentale della moglie (internata in manicomio nel 1910).
Stressato e umiliato, guadagnando poco o niente, senza essere minimamente considerato dai circoli letterari dell’epoca, rimasto solo con i figli Omar, Nadir, Romero e Fatima, ai quali accudire, i suoi nervi cedettero. Si squarciò gola e ventre con un rasoio in una zona collinare di Torino, morendo come avrebbe scelto di morire uno dei suoi eroi, facendo harakiri.
Lasciò scritto:
“A voi che vi siete arricchiti con la mia pelle, mantenendo me e la mia famiglia in una continua semi-miseria e anche di più, chiedo solo che per compenso dei guadagni che vi ho dati pensiate ai miei funerali. Vi saluto spezzando la penna.”
Mitico, indimenticato scrittore d’avventure, conosciutissimo anche per una cinquantina di film tratti dalle sue opere, per la celebre serie televisiva degli anni Settanta sul personaggio di Sandokan con l’attore Kabir Bedi, per canzoni a lui dedicate, immortalato perfino in storie di fumetti, ora sarà negli anni visivamente ricordato anche con questo monumento, che più di ogni altra celebrazione vuole onorare a imperituro ricordo (come scrisse Orazio in un suo Carme, “exegi monumentum aere perennius”, ah, i ricordi del Liceo Maffei), questo suo grandissimo e sfortunato figlio. E, non a caso, si trova in prossimità d’un altro simbolo dell’amore e dell’infelicità, il Balcone di Giulietta. Proprio lì, a pochi metri.
Un’ultima chiosa. L’accento del nome Sàlgari è ormai generalmente accettato come sdrucciolo, anche se è scorretto, perché deriva dal nome di una pianta, il salice, che in veneto si dice salgàro.