Heydrich, il “macellaio di Praga”, apprezzato da Himmler per le sue “benemerenze” di feroce sterminatore di ebrei

Jason Clarke/HEYDRICH

(di Emanuela Dini) Il titolo originale è una sfilza di H: “HHhH”, e si riferisce all’acronimo in tedesco Himmlers Hirn heißt Heydrich, ovvero “Il cervello di Himmler si chiama Heydrich”, per chiarire quanto il generale nazista Reinhard Heydrich fosse non solo il protetto, ma anche la mente e l’artefice della Soluzione Finale del Problema Ebraico prospettata da Himmler.
Gerarca feroce e implacabile; uno dei massimi esponenti della dirigenza nazista; soprannominato il “macellaio di Praga” per le violenze, gli stermini e le rappresaglie con cui governò il protettorato di Boemia e Moravia su ordine di Hitler; ideatore e pianificatore dello sterminio degli Ebrei, Heydrich fu l’unico alto gerarca ucciso in un attentato, a Praga, durante la guerra.
Il film racconta la storia dell’attentato di Praga, organizzato e concordato dai servizi segreti inglesi d’accordo con la resistenza ceca, ed è basato sul romanzo omonimo di Laurent Binet, che vinse nel 2012 il Premio Goncourt come opera prima ed è stato poi tradotto in 25 Paesi.
Il film si snoda su due binari, da una parte il racconto della vita di Heydrich e della sua ascesa al potere, la sua prevedibile spavalderia e ferocia ma anche quadretti di idillica felicità familiare, con immagini sfuocate e al ralenti; dall’altra l’organizzazione e pianificazione dell’attentato di Praga, nel 1942, con scene quasi romantiche dei paracadutisti che atterrano in un paesaggio alpino innevato e incantato e poi si rincorrono e si incontrano in mezzo alla campagna, senza che uno straccio di soldato nazista li intercetti.
L’attentato capita più o meno a metà film, preceduto da una sorta di flash back alla rovescia, cioè fotogrammi e fermi immagine che ti fanno capire cosa succederà e la seconda parte del film è dedicata al dopo attentato, dalla resistenza degli attentatori asserragliati nella chiesa di San Cirillo, alla rappresaglia dei tedeschi, che uccidono tutti gli abitanti del villaggio di Lidice, vicino a Praga, covo di partigiani cecoslovacchi.
È un filmone imponente e lungo due ore, che mischia biografia, epica, guerra, rappresaglie, spionaggio, resistenza, stereotipi – i gerarchi nazisti al bordello…- verità storiche e fremiti sentimentali e fa un gran minestrone di tutto. E come nel minestrone, il sapore è un gran miscuglio dove difficilmente si riescono a distinguere i sapori dei singoli ingredienti, sia pure di ottima qualità.
E così qui, si mischiano ricostruzioni accurate e paesaggi da cartolina, momenti concitati e flash back non sempre pertinenti, intuizioni di buon cinema ma anche esagerazioni persino grottesche, come la scena finale dei due attentatori imprigionati nella cripta della chiesa allagata dai nazisti, con le tavolette di legno che galleggiano sostenendo improbabili candele accese dalla fiamma perfetta più adatte a una cena romantica o a un relax in sauna che a un momento di morte.
Una bella occasione sprecata e – per i cinefili che amano vedere i film in versione originale – il rammarico di guardare un film che racconta una storia tedesca che più tedesca non si può, parlato in un inglese improbabile che crea un effetto di straniamento se non di fastidio. Peccato.

“L’uomo dal cuore di ferro”, tratto dal romanzo “HHhH” di Laurent Binet, regia di Cedric Jimenez, con Jason Clarke, Rosamund Pike, Mia Wasikowska, Jack O’Connell e Jack Reynor.

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  1. […] un addestramento a Londra, a organizzare un attentato per eliminare il criminale nazista… (qui la nostra […]