(di Patrizia Pedrazzini) – A Milano, dove vive tuttora, approda nell’ormai lontano 1961, su pressione di Cesare Zavattini. Alle spalle si lascia le Marche, il natio piccolo borgo di Colli del Tronto, sulle colline picene, e gli studi di Giurisprudenza, inizialmente accettati per compiacere il padre, quindi interrotti per la sensazione di andare incontro a un futuro che non gli appartiene. C’è altro, dentro di lui: il disegno, la pittura, l’osservazione dei volti, dei caratteri, dei paesaggi. Potenzialità e aspirazioni che la Milano di quegli anni, con il ricco fermento culturale che la contraddistingue, gli consente di perseguire e di affermare. Subito la collaborazione con Il Giorno, quotidiano sul quale i suoi disegni accompagnano i racconti di Calvino, Levi, Gadda, Soldati. Poi sarà la volta del New Yorker, della Frankfurter Allgemeine, del Guardian, del País. E, nel 1984, l’arrivo a Repubblica.
A Tullio Pericoli, classe 1936 e piglio da cinquantenne, la sua città d’adozione, Milano, dedica ora, nelle preziose sale dell’Appartamento dei Principi di Palazzo Reale, fino al 9 gennaio, la mostra monografica “Frammenti”. Prodotta da Comune, Skira (che ne cura anche il catalogo) e Design Terrae, l’esposizione raccoglie oltre 150 opere, realizzate fra il 1977 e il 2021: una raccolta cospicua, all’interno della quale ampio spazio trova l’ultima produzione dell’artista marchigiano, con la sua riflessione sul tema del paesaggio.
Lavori, puliti, educati, raffinati. Tecniche miste. Colori discreti, mai sfacciati, che parlano di terra e di cielo. Morbide colline (quelle della terra d’origine), filari, calanchi che hanno il sapore e la dolcezza dell’infanzia, e che sono lì quasi a parlare, al visitatore, con voce rispettosa e tuttavia suadente. Immagini astratte, linguaggi visuali, tratti leggeri e delicati e, su tutto, una profonda sensazione di quiete. E di memoria.
“Dipingo paesaggi per apprendere la loro lingua e leggere le loro pagine. Una lettura che parte sempre dalla geologia. Li dipingo anche per ricordare che non ci si può e non ci si deve liberare della memoria”.
Ma la mostra di Palazzo Reale non si limita al tema del paesaggio (tra l’altro, di Pericoli, vanno anche ricordate le incursioni in ambito teatrale, con la messa in scena di opere – “L’elisir d’amore” di Donizetti e “Il turco in Italia” di Rossini – all’Opernhaus di Zurigo e alla Scala di Milano).
Non poteva mancare il tassello forse più conosciuto della feconda e multiforme attività di questo artista: i ritratti. Tutti riuniti nell’ultima sala del percorso espositivo, in una sorta di silente assemblea, sono 22. Da Pasolini a Testori, da Roth a Pavese, a Kafka, a Beckett. E Nietzsche, Proust, Montale. Fisionomie fedeli e insieme trasfigurate: amici, colleghi, e i grandi protagonisti della scena culturale italiana e internazionale.
Il tutto a costruire, tassello dopo tassello, quello che, alla fine, realmente emerge: il ritratto, preciso e sincero, dell’artista stesso. Il passato, i ricordi, la memoria. Certo. “Ma questo forse non è del tutto vero. Non dipingo paesaggi per fare paesaggi. Li dipingo soprattutto per il piacere di dipingere”.
“Tullio Pericoli. Frammenti”, Milano, Palazzo Reale, fino al 9 gennaio 2022.
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