(di Andrea Bisicchia) Mi sono letteralmente immerso nella lettura di un libro particolare, che alterna la biografia di quattro filosofi con la loro attività teoretica e critica, e che lo fa con un gusto narrativo, la cui capacità consiste nell’ esemplificare ciò che, a prima vista, potrebbe sembrare difficoltoso.
Mi riferisco al volume, edito da Feltrinelli, di Wolfram Eilenberger: “Il tempo degli stregoni”, detti così perché tali apparvero alla società tedesca del primo trentennio del Novecento, avendo rivoluzionato, sia la storia della filosofia che quella della critica.
Gli stregoni sono: Cassirer, autore di “Filosofia delle forme simboliche”, Heidegger, autore di “Essere e tempo”, Wittgenstein, autore del “Tractatus”, e Benjamin, autore di “Dramma barocco tedesco”.
Di questi “stregoni” Eilenberger ci racconta sia i momenti di difficoltà, nell’inserimento della vita accademica, sia quelli economici che esistenziali, tanto da farmi chiedere fino a che punto, pensatori geniali come Wittgenstein e Benjamin possano essere stati bistrattati dalle commissioni universitarie che ritenevano il “Tractatus” complicato e illeggibile e che avevano tributato la stessa sorte a “Il dramma barocco tedesco”, in particolare, alla “Premessa gnoseologica”, considerata un accumulo di proposte filosofiche senza capo né coda. Mentre Cassirer, già ordinario di filosofia, continuava la sua speculazione andando oltre il kantismo, esaltando la visione simbolica del mondo, mentre Heidegger poneva le basi del pensiero moderno, sostituendo l’Essere con l’Esserci, Wittgenstein dava un colpo ferale alla metafisica tradizionale affermando che “il mondo è tutto ciò che accade”, mentre Benjamin trasformava l’attività del critico, grazie al quale, l’opera d’arte subisce un arricchimento essenziale, contribuendo, in questo modo, al processo di integrazione e di sistemazione, tanto da assumere una parte attiva alla creazione dell’opera stessa. Come dire che il critico è da ritenere un secondo autore, così come lo sarà, nel secolo successivo, il regista a teatro.
Sullo sfondo di queste ricostruzioni ci sono: la Prima guerra mondiale, la Repubblica di Weimar, la crisi del ’29 a Wall Street e il seminario di studi che avvenne a Davos, durante il quale protagonista assoluto fu Heidegger che, con le sue lezioni, aveva surclassato lo stesso Cassirer, che, a dire il vero, si era ammalato o si era dato per ammalato.
In tutti e quattro gli “stregoni”, l’esigenza primaria fu quella di rinnovare i fondamenti della propria cultura e, quindi, della propria esistenza, quella che sta a base della loro ricerca filosofica fin dalla domanda iniziale: “Che cos’è l’uomo ?”. Non certo un “animale metafisico”, proprio perché, come nella metafisica, vive al di sopra di ciò che è fisico. Eilenberger si attarda anche sulle qualità e i difetti dei suoi protagonisti, sottolineando il distacco accademico di Cassirer, la superbia intellettuale di Heidegger, le crisi esistenziali, sia di Wittgenstein che di Benjamin, con l’ombra del suicidio che attraversa entrambi. Le rivoluzioni, anche quelle culturali, passano attraverso i corpi di chi le produce e ne lasciano i segni.
Wolfram Eilenberger, “Il tempo degli stregoni. 1919-1929. Le vite straordinarie di quattro filosofi e l’ultima rivoluzione del pensiero”, Feltrinelli 2018, pp 400, € 25.