MILANO, venerdì 26 febbraio ►(di Carla Maria Casanova) “I due Foscari“, opera del giovane Verdi praticamente assente dal repertorio (alla Scala, dal 1858, quattro riprese). Un motivo ci sarà. Ieri sera alla Scala, a parte l’ovazione (meritatissima) per Domingo, ci sono stati dei buu. Anche lì, qualche motivo c’è. Il soprano non è parso accattivante e il direttore ha forse mancato un po’ di grinta. Però Verdi è Verdi e pare che in teatro (dietro le quinte) ci fosse una tensione tremenda.
Incominciamo dall’opera: mentre il libretto dipana dall’inizio alla fine una tragedia devastante, la musica, dall’inizio alla fine, è vigorosa quando non ballabile. La storia si apre con il lamento del giovane Jacopo Foscari, figlio del Doge Francesco, il quale (Jacopo), accusato di un delitto non commesso, è stato bandito dalla patria. Lontano da Venezia non potendo stare, è segretamente tornato. Subito gli è addosso il Consiglio dei Dieci che, aizzato da tale Jacopo Loredano, mosso da vecchi rancori a noi ignoti, ribadisce l’accusa e lo condanna all’esilio. Disperazione del Doge e della moglie che tutto mette in opera per scagionare l’amato sposo. Niente da fare. Jacopo viene imbarcato su una nave che lo porterà a Creta. Appena levata l’àncora arriva il solito messo, come al solito in ritardo, con le prove dell’innocenza di Jacopo. Troppo tardi. Lasciando la patria, Jacopo è morto di dolore. L’orribile Loredano chiede al Doge, “che è vecchio e ha tanto sofferto”, di dimettersi dal suo potere. L’offesa, lo capisce chiunque, è mortale. E infatti Francesco Foscari, quando ode addirittura le campane che annunciano l’elezione del nuovo Doge, cade a terra morto.
È una storia tristissima e davvero spacca il cuore un simile cumulo di tragici equivoci. Perché tutto non venga rovesciato in commedia, occorrono grande direttore e adeguati interpreti, o almeno uno, il doge. E quello, c’è. Placido Domingo, in scena dall’inizio alla fine, disegna un personaggio poderoso, con voce ferma e grande, sillabazione perfetta, raffinatissime intenzioni delle singole parole. Però uno solo, a sostenere tutto quanto, non basta. Gli è andato vicino Francesco Meli (Jacopo) tenore tra i più quotati dell’odierno panorama ma qui, mi pare, alle prese con un ruolo troppo forte per lui, che lo porta a rovinare certi suoi suoni altrimenti così belli. Per Anna Pirozzi, debuttante alla Scala, con suoni aspri nel registro acuto, pare che l’emozione abbia giocato brutti scherzi. Chi l’ha sentita altrove (Nabucco diretta da Muti) giura che è magnifica. Quanto a Loredano, è talmente perfido che non vogliamo neanche sentirlo.
Michele Mariotti, direttore. Anche lui non è piaciuto a tutti. Forse perché ha tenuto l’orchestra molto vispa e ha un po’ mollato alla fine? È stato pregevolissimo come sempre il coro ma alla chiamata finale qualcuno ha scambiato il direttore Bruno Casoni, apparso con il suo bravo frac, per il regista, e si è preso dei fischi anche lui. (Succede: bisognerà ovviare questo increscioso qui pro quo). Quando poi è uscito il “vero” regista, Alvis Hermanis, con il pittoresco team dei suoi collaboratori (in numero di cinque: costumi, luci ,coreografia, video, drammaturgia) il pubblico ha capito che, semmai, le disapprovazioni andavano a loro e non a Casoni. Dunque regìa. Ho sentito il commento “stupidina”. Forse rende l’idea. Gestualità convenzionale su un impianto scenico dei più rigorosi che riproduce tutti i segni della Repubblica veneziana nella pittura cinquecentesca, da Tintoretto a Gentile e Giovanni Bellini, al Carpaccio, né poteva mancare un rimando al celebre quadro dell’Hayez. Le tele sono riprodotte con rispetto, appena evanescenti sul fondale, come stampe anticate. C’è poi uno sterminio di leoni (Venezia, si sa). Regìa “stupidina” in quanto all’acqua di rose, senza carattere, con coreografie molto stilizzate, insipide e inutili. Non un’idea. Per carità, meglio questa degli stupri in scena, però i “registi d’opera” (attenzione: di opera lirica) ci sono. Accidenti se ci sono. Inconfondibili. Magari poi fischiano anche quelli. Comunque sia, andiamo alla seconda. Scommettiamo che non fischia più nessuno?
“I due Foscari” di Giuseppe Verdi. Repliche: 1, 4, 9, 12, 15, 18, 22, 25 marzo. Nelle ultime quattro il Doge è Luca Salsi. Da sentire.