I mille modi di dire in una follia di parole, fra nessi e sconnessi, cioè Alessandro Bergonzoni

bergonzoni collage(di Paolo A. Paganini) Le follie linguistiche, andando a spanne, sono storicamente cominciate con Marinetti. Poi Petrolini ci è andato a nozze. E poi ancora letteratura e teatro si sono riempiti di preclari ingegni, da Rascel a Walter Chiari, da Achille Campanile a Massimo Bontempelli. Sì, proprio lui, lo scrittore, giornalista e drammaturgo (“Nostra dea”), amicissimo di Savinio e De Chirico, e che si dedicò con tenacia a quegli esperimenti surrealistici, che chiamò realismo magico. C’è una novella di Bontempelli sul “parlar figurato”, intitolato “Il buon vento”, ch’è un piccolo monumento alla metafora. Un oste ha due donne, la moglie grassa e la figlia magra: insomma “mia moglie è una botte e mia figlia un’acciuga…” E improvvisamente appare una botte con sopra un’acciuga. “Ah, il cuore mi sanguina…” si lamenta l’oste. E una macchia rossa a sinistra della camicia… E, nell’incontrare un amico: “Oh, qual buon vento ti porta?” E un dolce zefiro, sopra ai prati, sopra alle siepi portò l’amico verso il placido etere…
Diciamo questo perché le micce verbali che accendono i fantasmagorici giochi pirotecnici (e avanti con le metafore!) dell’ultimo spettacolo di Alessandro Bergonzoni, “Nessi”, lo vedono in buona compagnia. Ma nessuno è alla sua altezza, nessuno eguaglia le sue folli prodezze linguistiche, che sono un avventuroso viaggio nel mondo delle parole, oggi che non si parla più, oggi che una tragica anoressia verbale intisichisce il linguaggio in miseri bocconcini di frasi fatte e luoghi comuni pre-masticati. Bergonzoni li prende, li trasfigura, li inchioda in un rigore semantico che poi fa esplodere in una miriade di spezzoni senza senso, in giochi di parole sul filo spericolato e illogico di una logica inebriata di assurdità. Per un’ora e mezzo.
E con un fuori programma di un’altra mezz’ora, che anche da solo, avrebbe fatto il successo, in passato, d’un comico del Bagaglino o del Derby.
Si presenta in scena con un dimesso vestito di trasandati trascorsi. La lunga zazzera incolta. Il viso scavato. E parla e parla… Parla di nascita e di morte, parla di ricordi, di pazzie, di morale, maltrattando le parole come i suoi abiti scarmigliati. Un padre timoroso di morire che “sta sul chi vive”, un tale che non è credente, ma se sa guardare è osservante… Un altro sbatte la testa su un angolo vivo, e muore. Uno scimunito è uno scemo in auto munito di sci… E poi si mette a parlare russo, di cui non conosce una parola, ma conosce tutte le altre. Aspetta un momento! Vallo a prendere. Oh, non c’è più, il momento è già andato… E se vai dal medico di base, cerca anche l’altezza… E se sei un pozzo di scienza, non cascarci dentro… E se leviamo gli occhi al cielo, è perché non vogliamo vedere quel che c’è sotto… E se infine ci troviamo davanti a Dio, quello che è di fianco come se la caverà?
E così via, negli infiniti cieli dei nonsensi, delle analogie, delle metafore, in un tripudio di risate, su e giù per le montagne russe delle inarrestabili affabulazioni di Bergonzoni, ora ad altezze vertiginose, ora precipitando in un vuoto di stomaco. E rimane il dubbio: si è riso tanto delle follie del mondo o della stupidità degli uomini?
“Nessi”, di Alessandro Bergonzoni, Teatro Elfo/Puccini. Corso Buenos Aires 33, Milano. Repliche fino a venerdì 13 giugno.