(di Andrea Bisicchia) Spesso, chiacchierando con gli amici o la persona amata, si è soliti dire: “Hai un carattere duplice”, nel senso che il nostro stato d’animo vive, in alcuni casi, quella che Pirandello definisce la teoria del doppio o dello specchio, come a significare che la vita è contraddistinta da una continua duplicità.
Umberto Curi, professore emerito dell’università di Padova, nel suo volume: “Endiadi”, Cortina Editore, fa risalire la connessione identità-alterità direttamente al mito e, per evidenziare tale rapporto, ci propone una serie di figure appartenenti alla duplicità, presenti sia nelle tragedie greche che in alcuni dialoghi platonici. Le tragedie a cui l’autore fa riferimento sono: “Edipo”, “Antigone”, “I sette a Tebe”, “Prometeo”, i cui personaggi impersonano le forme archetipiche dell’endiadi, ovvero quelle dell’ambivalenza e dell’alterità.
Se Curi cerca nel mito le figure della duplicità, in un libro recente, James Hillman (“Figure del mito”, Adelphi) ha sostenuto che i miti sono ombre del nostro passato, archetipi, a loro volta, dei comportamenti umani, proprio perché contenitori delle nostre ansie e delle nostre sofferenze e, quindi, del nostro inconscio.
L’approccio ai miti di Curi è ben diverso, la psiche a cui egli fa riferimento, non è quella del nostro profondo, bensì quella del doppio, da non confondere con la scissione, tipica della psicoanalisi, perché appartiene alla categoria della duplicità. Edipo è sposo e figlio, padre e fratello, salvatore, ma anche piaga infetta della città. Lo stesso dicasi di Antigone, che è figlia e sorella, personificazione del conflitto tra legge dello Stato e legge della Morale. Anche Prometeo vive questa duplicità,essendo scisso tra il conoscere e il fare, dato che a lui si fa risalire l’origine della tecnica, ma anche il duplice rapporto tra l’uomo e il divino, tra l’amore per l’umanità e la ribellione verso Zeus, tra grandezza e miseria.
Curi divide la sua ricerca in due parti che intitola: “La sapienza di Ismene”, ritenendo, la sorella di Antigone, una tenace sostenitrice dell’insensatezza nel voler cercare l’impossibile o il non mediabile, e “L’inganno di Prometeo”, il cui dono all’umanità risulta carico di ambiguità e di fraudolenza, dato che, nel momento in cui crede di offrire la felicità, attraverso la techne, impone all’uomo il lavoro, la fatica, oltre che la morte, essendo la terra colma di mali, tutti raccolti nel vaso di Pandora, anche lei figura duplice, perché bella e amabile e, nello stesso tempo, detestabile e ingannatrice, fonte di speranza, ma anche di malessere.
Insomma, nella vita, si è sempre l’una e l’altra cosa, fin dalle origini, quando la duplicità mise in crisi il pensiero parmenideo del “tutto in uno”, con la conseguente dispersione del tutto nelle parti, generata dalla tipica scissione che avviene dinanzi allo specchio, come accade a Vitangelo Moscarda, di “Uno nessuno centomila”. A volte, l’alterità può essere anche proiezione della propria identità, vedi il caso di Narciso, o può essere vissuta in forma di digressione e armonia, come accade nel rapporto tra Dioniso e Apollo, fino a diventare ambiguità assoluta nelle risposte oracolari, come si può leggere nel frammento eracliteo, riferito al signore di Delfi: “Il dio non dice e non nasconde, ma dà dei segni, restituendo all’uomo la responsabilità dei suoi atti”.
Umberto Curi: “Endiadi – Figure della duplicità” – Cortina Editore, gennaio 2015 – pp 194 – € 20