(di Andrea Bisicchia) Nel 1968, in un momento in cui il teatro mondiale stava vivendo la sua fase più rivoluzionaria, dopo la seconda guerra mondiale e la crisi degli Stabili, Peter Brook scrive. “Il teatro e il suo spazio”, edito da Feltrinelli, un testo che fu letto come un vero e proprio manifesto di una nuova generazione, ma che riletto oggi, come seconda lettura, intesa come metodo critico, dà molti spunti di riflessione, benché non vada considerato come un saggio monografico sull’argomento, dato che l’autore vi sintetizza alcune personali considerazioni sul teatro in generale e, nell’ultimo capitolo, sulla regia in particolare.
Egli teorizza quattro momenti, ai quali dà dei titoli emblematici: “Il teatro mortale”, “Il teatro sacro”, “Il teatro rozzo”, mentre si riserva per sé “Il teatro immediato”.
“Il teatro mortale”, a suo avviso, è noioso, ed è da intendere come cattivo teatro, omologato, letargico, privo di coraggio, che si alimenta con la tradizione e con le convenzioni, attento a perpetuare stilemi in agonia, essendo, questa tipologia, la sola che sappia elevare ciò che è pessimo agli altari del successo.
“Il teatro sacro”, al contrario, avendo a che fare con l’invisibile, è reso visibile dal regista attraverso lo spazio scenico. In questo capitolo Brook fa riferimento ad Artaud, Brecht, Beckett, e, in particolare, a Grotowski, al suo lavoro rigoroso, intenso, ma anche al Living e alla sua idea di teatro come comunità, dove si recita per esistere, e dove si esiste per recitare. Sono teorici e drammaturghi che cercano di recuperare il rito con la consapevolezza che i rituali autentici non esistano più.
“Il teatro rozzo” è quello popolare che si caratterizza per mancanza di stile, essendo incapace di scegliere e selezionare. In verità, per Brook, il teatro ha bisogno di una rivoluzione permanente, alla quale ciascun regista possa donare il suo contributo.
Per quanto lo riguarda, egli medita su come sia possibile raggiungere l’invisibile, oltre che la verità che, sul palcoscenico, è difficile da catturare, perché in continuo movimento. Questo è il motivo per cui, durante le prove, tutto può essere messo in discussione, essendo queste il mezzo per raggiungere quel processo di maturazione che permette l’evoluzione delle idee che rendono il teatro migliore della vita.
PETER BROOK. “Il teatro e il suo spazio” (traduz. R. Petrillo), Feltrinelli Editore (prima edizione 1968 – IV ediz. 1980) – pp 176 – Fuori commercio