
Milano. Elena Russo Arman in “La mia vita era un fucile carico” al Teatro Elfo Puccini (foto Fabio Mantegna)
(di Paolo A. Paganini) Dici: Emily Dickinson (1830-1886), poetessa americana. E subito ti affacci su uno scosceso precipizio di aspre contraddizioni, di laceranti contrapposizioni. Eppure, non caduta, ma ascesa in limpidi cieli di purissima poesia. Emily visse praticamente tutta la vita nella casa paterna (ah, il leopardiano “paterno ostello”), con fughe e innamoramenti di visionaria intensità, sognate, immaginate e poi scritte in frammenti, lettere e poesie, tra il misticismo e l’ “eresia”. E tuttavia, pur nel suo isolamento fisico, apparentemente statica, ma interiormente ansiosa, talvolta straziata, Emily fu, in un certo senso, la voce morale e intellettuale dell’America, del puritanesimo e della ribellione, del perbenismo e dell’istinto rivoluzionario d’un femminismo ante litteram. Nel magico antro della sua isolata creatività, scrisse 1150 lettere e frammenti in prosa, forse unico o per lo meno predominante strumento di comunicazione con il mondo esterno, e 1775 poesie, da lei ordinate cronologicamente, composte per lo più di otto versi (due, al massimo tre quartine), tematicamente raggruppate in titoli come Amore, Tempo, Eternità, Natura, Vita, ma anche spaziando da argomenti biblici a metafisici. Bisticci stilistici, contrapposizioni metaforiche ne erano le caratteristiche, nello stesso tempo caste e tormentate, idilliache, audaci e tenere (“La separazione è tutto ciò che sappiamo del Cielo / e tutto ciò che ci occorre dell’Inferno”). Una specie di ideale (ma inconciliabile) connubio poetico(tanto per stare a casa nostra), tra Pascoli (contemplazione della natura) e il già citato Leopardi (assenza di un Dio tenacemente cercato e una natura magica e tuttavia disgregatrice), ma è il massimo che possiamo azzardare di Emily Dickinson, voce originale, non inquadrabile in schemi e scuole.
E nemmeno inquadrabile e spiegabile in un’ora di monologo di Elena Russo Arman (con virtuosismi “rumoristici” di Alessandra Novaga alla chitarra elettrica). L’attrice, che possiede voce gentile e sentimentalmente aderente alla natura mistica della Dickinson, si lascia spesso travolgere dall’istintualità selvaggia della Poetessa, ch’era più intimamente sofferta che palesemente manifestata e gridata. Qui, nella performance all’Elfo Puccini, la voce poetica viene volentieri sopraffatta da suoni, rumori, esplosioni e cigolii: metaforiche espressioni dei tormenti e degli intimi strazi della Poetessa, che tuttavia sviano dalle mistiche interiorizzazioni poetiche della Dickinson, della quale, per spiegare il titolo dell’excursus drammaturgico, “La mia vita era un fucile carico”, la Russo Arman fa proseguire il verso con (…) “e ogni volta che sparo risuona la montagna…” eccetera.
Applausi felicissimi alla fine. Meritato successo d’una prova intensa e generosa.
Teatro Elfo Puccini, Sala Fassbinder, Corso Buenos Aires 33 Milano. Repliche fino a domenica 3 novembre