“Ifigenia, liberata”, affascinante “dibattito comunitario”, tra palcoscenico e platea. Immaginando una “messa in prova”

“Ifigenia Liberata”: Giorga Senesi (Clitemnestra) e Giovanni Crippa (Calcante; Vecchio).

MILANO, sabato 29 aprile ► (di Paolo A. Paganini) La violenza come bisogno malato dell’umanità. La prima vittima innocente della bestia avida di sangue è stata Ifigenia. Ma dicono che c’entrassero gli dei. Euripide, pressappoco intorno al 414 a.C., ne scrisse una intricata e romanzesca istoria, in “Ifigenia in Tauride”, una delle più complesse e felici creazioni di Euripide. Ne riprese poi l’argomento in “Ifigenia in Aulide”, rappresentata postuma e incompleta, incentrata soprattutto sulla figura della fanciulla sacrificata ad Artemide (la Diana dei Romani).
In breve: la flotta greca, pronta a partire contro Troia, è bloccata da una bonaccia e da venti contrari in Aulide. La dea Artemide avrebbe concesso la possibilità di salpare solo se Agamennone le avesse sacrificato la figlia Ifigenia. La fanciulla verrà sacrificata alla dea, quando invece credeva di andare sposa ad Achille. Da un altare di vita a un’ara di morte. Ma, prima, il padre, angosciato, straziato, tormentato, sconvolto e titubante, in una scena di acuta profondità psicologica, cerca di opporsi. Dopo un tragico, realistico diverbio con il fratello Menelao e dopo l’ira dell’esercito, sobillato da Ulisse, perché infine la fanciulla morisse e potessero così salpare, Agamennone decide di compiere l’assurdo sacrificio, ora accettato anche da Ifigenia “per il bene della Grecia”. Il suo propiziatorio sacrificio consentirà, dunque, alla flotta di partire verso Troia, dove finalmente Menelao potrà riprendersi la sua infedele sposa, Elena, che Paride gli aveva sottratto.
Il sacrificio di Ifigenia pone tanti e non gratuiti quesiti etici, religiosi e sociali, che lo stesso Euripide aveva chiaramente individuato nelle diciannove delle settantacinque tragedie, arrivate a noi, dove emergono un travaglio spirituale, un atteggiamento critico, una fine analisi di anime, originate dalla sua capacità di umanizzare gli eventi, combattuto tra il dubbio e una critica disposizione verso le tradizioni culturali e religiose del suo tempo.
Questi suoi sentimenti si rivelano con straordinaria potenza nella brutalità delle superstizione e nella bestia umana, quando la giustizia è demandata al volere degli dei, alibi morale a fronte dell’impotente ignavia degli uomini, incapaci di giustizia. È facile ricorrere, in ossequio agli dei, con cinica brutalità, al senso del dovere, calpestando affetti e sentimenti. La stessa Clitemnestra, madre tenera e disperata, che già si preparava, ignara, alle felici nozze della figlia, di fronte all’inaudita decisione del marito Agammenone, con cruda semplicità persuasiva gli rinfaccerà: “Tu accetti la morte di tua figlia innocente in cambio di una puttana”. Ifigenia versus Elena.
Non so se è contestuale, ma è bella.
Come bella, ed è dir poco, è la mess’in scena di “Ifigenia, liberata” – progetto e drammaturgia di Angela Dematté e Carmelo Rifici, regia dello stesso Rifici – al Piccolo Teatro Strehler.
In due tempi di cronometrica precisione svizzera (è prodotto dal LAC di Lugano, in coproduzione con il Piccolo Teatro di Milano), un’ora e dieci il primo tempo e un’ora e dieci il secondo tempo, viene “messa in prova” la stesura drammaturgica di una elabortata “Ifigenia”, secondo Euripide (massimamente), ma anche secondo Eraclito, Omero, Eschilo, Sofocle, Antico e Nuovo Testamento, Nietzsche, René Girard e Giuseppe Fornari.
Si immagina che una compagnia teatrale – una decina di attori, tecnici, regista e un musicista – si stia accingendo a provare l’Ifigenia, cercando, nel contempo, le motivazioni filologiche, morali e filosofiche che hanno ispirato i vari autori, dall’antichità ai tempi nostri. Ne nasce un dibattito comunitario, tra palcoscenico e platea, in una immersione totalizzante, nel bene e nel male, ma essendo appunto una “messa in prova” tutto è concesso, nei limiti del buonsenso e del rispetto drammaturgico. Per esempio, non ci è molto piaciuto l’iniziale antropomorfismo darwiniano dei scimmioni che stanno per compiere l’ultimo passo della scala evolutiva, e già conoscono il sentimento della violenza, Scena tuttavia necessaria per “storicizzare” quella primigenia madre di tutte le ulteriori violenze del mondo, dal sacrificio di Ifigenia fino a noi. Così come l’ultima parte, che abbiamo trovato eccessivamente predicatoria. Ma tutto, ripeto, ha una sua giustificazione, perché il tema è appunto la violenza, con la sua degna accompagnatrice, l’ingiustizia. “È un’indagine sulla storia violenta della nostra razza”, spiegherà il Regista al Pubblico. Dove salvezza e redenzione potranno trovare conforto nella speranza. Ed è bellissimo uno spezzone scenico del sacrificio di Cristo in Croce, come simbolo e promessa di salvezza.
Gli attori entrano nella parte con impressionante veridicità, da Giovanni Crippa (Calcante e un Vecchio) a Tindaro Granata, nel ruolo del Regista; da Vincenzo Giordano, un terrifico e violento Menelao, a Giorgia Senesi (Clitemnestra),  tenera e terribile Madre di una convincente Anahì Traversi; da Edoardo Ribatto (Agamennone) alle due affascinanti Corifee (Caterina Carpio e Francesca Porrini). Ma ineccepibili tutti gli altri, diretti da un Carmelo Rifici in stato di grazia. Incisive e suggestive le musiche del violoncellista Zeno Gabaglio. Convinti e ripetuti applausi alla fine.

“Ifigenia, liberata”, Dagli Atridi a oggi, indagine sulla violenza. Regia di Carmelo Rifici. Con (in ordine alfabetico) Caterina Carpio (Corifea/Ominide), Giovanni Crippa (Calcante/Vecchio/Platone), Zeno Gabaglio (musicista), Vincenzo Giordano (Menelao),Tindaro Granata (regista), Mariangela Granelli (drammaturga), Igor Horvat (Odisseo), Francesca Porrini (Corifea/Ominide), Edoardo Ribatto (Agamennone), Giorgia Senesi (Clitemnestra), Anahì Traversi (Ifigenia). Scene Margherita Palli. Costumi Margherita Baldoni. Al Piccolo Teatro Strehler, Largo Greppi 1, Milano – Repliche fino a domenica 7 maggio.

Informazioni e prenotazioni 0242411889
www.piccoloteatro.org