
Milano. Una scena di “Il bell’Antonio”, da Vitaliano Brancati, con la regia di Giancarlo Sepe, al Teatro Manzoni
(di Paolo A. Paganini) L’onore in Sicilia? Vitaliano Brancati (1907-1954), sarcasticamente, dirà: “La parola onore ha il suo più alto significato nella frase: farsi onore con una donna!” La battuta spiega il significato del suo romanzo “Il bell’Antonio” (1949), ambientato negli ultimi anni della dittatura fascista a Catania: a metà strada tra gallismo (una manifesta ed esibita virilità tra casini e amanti, fatta salva la “santità” della famiglia) e fascismo (ridicolo e tragico macchiettismo da opera dei pupi). Antonia Brancati, ora, insieme con Simona Celi, ne ha fatto una riduzione teatrale (già ne era stata fatta una alcuni anni fa, il cui ricordo più di tanto non merita). E, confesso, pur con qualche iniziale prevenzione, devo invece riconoscere la felicità di questa operazione, sorretta da un pregevole staff attoriale e dalla rigorosa abilità registica di Giancarlo Sepe. Alla vicenda del romanzo basterà l’accenno fattone. Anche perché, già nel ’60, Mauro Bolognini ne fece una fortunata edizione cinematografica con Mastroianni, la Cardinale, Brasseur e compagnia bella, ma Bolognini spostò l’azione dagli anni ‘30 agli anni ’50, puntando più su una malinconia di fondo che non sui caratteri di italica buffonata sociale.
La trasposizione scenica rispetta l’impostazione originaria. Ed è stato giusto così.
Dunque, ricordiamolo, il giovane e bellissimo Antonio torna da Roma nella natia Catania con gloriosa fama di sciupafemmine e con un medagliere di eroiche avventure sessuali. Le stesse non proprio timorate fanciulle catanesi, nello struscio di Via Etnea, si divorano ora con gli occhi l’ambitissimo bell’Antonio, il quale però si trova subito invischiato in un matrimonio combinato dalle famiglie. Matrimonio che, dopo tre anni, Antonio non è stato ancora capace di consumare, rivelando così una tragica impotenza, sempre a tutti mascherata. Il suocero farà annullare il matrimonio, riservando la figliola a più ricchi e nobili lombi aristocratici. Il padre di Antonio, settantenne uomo da monta dalle molte prestazioni, ne è sconvolto, ma farà in tempo a riscattare l’onore di famiglia concludendo eroicamente il suo passaggio terreno sotto le macerie di un casino dopo un bombardamento…
Andrea Giordana è il sanguigno e retrivo padre di Antonio, Luchino Giordana, il quale ne è figlio anche nella vita reale: bravo, misurato e dolente, perfetto controcanto di sofferta umanità in un mondo di pupi. Giancarlo Zanetti è lo zio giramondo e perennemente fuggitivo, pur di lasciarsi alle spalle il soffocante provincialismo siculo. Bene anche tutti gli altri, che almeno nomineremo: Elena Calligari, Simona Celi, Michele De Marchi, Natale Russo, Alessandro Romano, Giorgia Visani. Scena di Carlo De Marino: un gran velario che gira su un perno centrale a delimitare i vari luoghi deputati. Buona l’idea da giostra, anche se personalmente non mi è piaciuta. Tutti applauditissimi alla fine.
“Il bell’Antonio”, da Vitaliano Brancati, regia di Giancarlo Sepe. Repliche fino a domenica 26. Teatro Manzoni, Via Manzoni 42, Milano