(di Patrizia Pedrazzini) Steven è un affermato cardiochirurgo che vive una vita serena e appagante con la moglie (anche lei medico) e i due figli, una femmina e un maschio, quasi adolescenti. All’insaputa di tutti, vive tuttavia anche un ambiguo rapporto con un sedicenne, Martin, col quale si incontra, portandolo a mangiare e regalandogli costosi orologi. Il giovane, ancorché strano, è tuttavia una persona tranquilla e rispettosa, per cui Steven decide di farlo conoscere ai propri familiari. E qui inizia l’incubo. Perché il ragazzo dapprima, ben accetto, conquista la fiducia della moglie e dei figli del medico, e subito dopo, come un parassita cancerogeno, inizia a infettarne l’idilliaca esistenza. Finché improvvisamente, e inspiegabilmente, prima il ragazzino, Bob, poi la sorella, Kim, si ammalano in maniera molto grave. Ma il mistero è presto chiarito. Martin è il figlio di un uomo della cui morte, sul tavolo operatorio, Steven si è reso responsabile (aveva bevuto due drink di troppo), e chiede giustizia: il cardiochirurgo dovrà sacrificare, a propria scelta, uno dei tre familiari, se vuole evitare di perderli, inesorabilmente, tutti. E la Scienza non potrà farci proprio niente.
Non è semplice ragionare su questo “Il sacrificio del cervo sacro”, ultimo lavoro del greco Yorgos Lanthimos. Dibattuti, come se ne esce, fra l’indubbio fascino (del male) nel quale la storia fa sprofondare, e il senso di insofferenza che si prova davanti a una vicenda stipata quasi all’inverosimile di simbolismi, metafore, sottotesti tutt’altro che originali, dei quali il film letteralmente gronda.
Euripide e la Bibbia. Il mito di Ifigenia, il sacrificio di Abramo, il giudizio di Salomone. Kubrick e Haneke. Del regista austriaco, lo scarto fra l’apparente, felice equilibrio della società benestante e la violenza, e il disagio, che “stanno dentro”. Del primo, praticamente tutto: dal minuto di buio iniziale che, sulle note dello “Stabat Mater” di Schubert, introduce le immagini di un intervento a cuore aperto, al ricorso alle musiche di György Ligeti (e basti per entrambi l’aggancio a “2001: Odissea nello spazio”); dalle inquadrature impeccabili alla macchina da presa che sembra incombere dall’alto sui personaggi, quasi spiandoli e seguendone ogni singola azione; dal razionalismo esasperato al cinismo, dalla paura al senso di colpa. Dagli assurdi automatismi tesi a sottolineare l’aridità della vita borghese (Steven e la moglie non fanno sesso, letteralmente giocano al dottore) all’oscuro, ineluttabile percorso del fato: non c’è perdono per gli errori, solo punizione. Mentre, nei panni di Anna, la moglie di Steven, Nicole Kidman sembra appena uscita da “Eyes Wide Shut”.
Una vicenda tragica di espiazione e vendetta, come una tragedia greca senza eroi. Ma Lanthimos non si accontenta di riproporre i toni violenti e surreali di precedenti lavori, da “Kynodontas” a “The Lobster”. Va oltre, nell’ambizioso, quasi dichiarato (e non di rado fastidioso) intento di far propria l’eredità di Stanley Kubrick e di Michael Haneke.
Detto questo, il film si avvale di una splendida fotografia e, va da sé, di splendide musiche, oltre all’essersi aggiudicato, all’ultimo Festival di Cannes, il Premio per la Migliore Sceneggiatura. Nei panni di Steven, un Colin Farrell irrobustito e quasi irriconoscibile per la folta barba, è perfetto nei panni dell’uomo che rabbiosamente nega l’idea di aver sprofondato nell’incubo la propria famiglia, rifiutando fino alla fine di accettare la surreale realtà. Ma, fra tutti, a emergere è il giovane irlandese Barry Keoghan (già visto in “Dunkirk”), ottimo nel dare corpo, volto e sguardo a un Martin stralunato, silenzioso e inquietante, evidentemente disturbato e al limite dello psicopatico, tuttavia tanto educatamente “perbene”. La scena nella quale, in boxer, mangia un piatto di spaghetti appoggiato sulle ginocchia e il sugo di pomodoro gli sporca il viso mentre, inespressivo e con voce monotona, spiega senza emozioni le motivazioni della propria vendetta, è un pezzo di rara bravura.
Il “cervo sacro” di Lanthimos. Ovvero il mito di Ifigenia riveduto e corretto alla Kubrick. Fra espiazione e vendetta
25 Giugno 2018 by