Il cinico Diogene viveva in una botte, oggi sarebbe un politico indifferente agli scandali e assetato di potere

copo(di Andrea Bisicchia) L’obiettivo, per i cinici antichi, era stato il raggiungimento della virtù morale, attraverso l’eliminazione del superfluo, per un ritorno allo stato di natura, come insegnava Diogene di Sinope, molto citato nel volume di Peter Sloterdijk: “Critica della ragion cinica”, Cortina Editore.
Si tratta di un libro sorprendente, oltre che complesso, curato da Andrea Ermano e Mario Perniola, considerato da Jurgen Habermas: “un capolavoro della letteratura filosofica”. La ben nota “autarchia”, secondo la quale, l’uomo ha in sé, sin dalla nascita, tutto l’occorrente per vivere, diventa nelle pagine di Sloterdijk oggetto di analisi e di una molteplicità di definizioni, essendo intesa come “insensibilità”, “autodifesa”,”resistenza”, tanto che Diogene assume le sembianze del prototipo che non sceglie più la”botte”,bensì la carriera, mostrandosi indifferente dinanzi alle catastrofi sociali e politiche, assumendo in sé l’impudenza, la sfrontatezza, la famosa “anaideia”, pur di raggiungere il potere, subendo, persino, la fascinazione mimetica dello scandalo. Il cinico di oggi viene assimilato al politico, col suo desiderio di emulazione,spesso anche violenta, dato che, per lui, ogni mezzo è valido pur di raggiungere il fine.
Come al tempo di Diogene, anche oggi, si assiste allo scontro tra politici e filosofi, quello stesso che avvenne quando la polis, con l’ingiusta condanna di Socrate, criminalizzò la filosofia,suscitando la ribellione dei cinici che accusarono il potere politico di intolleranza nei confronti della filosofia, la stessa che oggi si vuole soppiantare, facendo ricorso all’ideologia e alla tecnica. Si è ripristinata, in questo conflitto,una sorta di cultura pagana che crede soltanto nel valore della vita. Per simili motivi, il cinico moderno è pronto a tutto pur di raggiungere il potere,il prestigio, la ricchezza, utilizzando tattiche,strategie, disinibizioni, strumentalizzazioni, pragmatismi, generando, nel frattempo, un fenomeno diffuso, adatto a ovattare le false coscienze e a trasformare le verità in attività menzognere, favorendo, così, il dilagare degli egoismi, la sfrontatezza come metodo di vita.
Sloterdijk ha diviso il suo lavoro in sette capitoli, alternando ricerche storiche con studi fisiognomici e fenomenologici. Per quanto riguarda le fisiognomiche, si è concentrato su tre ritratti, quello di Diogene, della sua “miseria spettacolare” e della sua “dogmatica della povertà”; quello del Grande Inquisitore, ovvero dello “statista cristiano” che caccia Gesù, ritornato a disturbare la chiesa come istituzione, che ha poco a che fare con la religione e la morale, e quello di Heidegger, del suo “Si” impersonale che giustifica l’assenza di senso in una quotidianità fatta di Chiacchiere, Equivoci, Deiezioni, oltre che di “sublimi banalità”.
Il lettore si trova dinanzi al tracciato di una lucida diagnosi della catastrofe odierna, per la quale, il cinismo contemporaneo potrebbe essere ritenuto una possibile terapia, oppure una forma estrema di sopravvivenza.

Peter Sloterdijk, “Critica della ragion cinica”, Cortina Editore 2013, pp 370, euro 29.