Il cucciolo d’uomo allevato dai lupi: salto di qualità dopo il famoso cartoon. Quasi un thriller, e una grafica affascinante

17.4.16 libro giungla(di Marisa Marzelli) Il libro della giungla è un famoso classico a cartoni animati della Disney, insieme a Biancaneve, Cenerentola, Bambi, La bella addormentata nel bosco e altri titoli che hanno popolato l’immaginario di più generazioni di bambini. Quasi cinquant’anni dopo la versione cartoon, casa Disney ripropone la storia di Mowgli, cucciolo d’uomo allevato dai lupi. È improbabile che oggi i più piccoli ricordino o conoscano l’originale del 1967, l’ultimo titolo realizzato con Walt Disney ancora vivo (morì prima dell’uscita nelle sale). Poco male, perché questo remake è al passo con i nostri tempi, sia sul piano della realizzazione tecnica che narrativa. Alla regia l’eclettico Jon Favreau (i primi due Iron Man, Cowboys & Aliens, Chef – La ricetta perfetta).
Il libro della giungla è una raccolta di racconti dello scrittore Rudyard Kipling (pubblicati nel 1893-‘94). Il cartoon Disney lo trasformò nel suo stile di allora. Stavolta lo scopo è ambizioso: intrattenere sì i più piccoli con un’avvincente e dinamica narrazione ma anche coinvolgere gli accompagnatori adulti in un plot ricco di rimandi sofisticati. Infatti, non sfugge un’analogia (pur raccontando una storia diversa), con La fattoria degli animali di Orwell, forte allegoria, in forma di favola con animali, della società umana.
Il bambino Moogwli è stato allevato da un branco di lupi che vivono nella giungla insieme a tanti altri animali parlanti. Ci sono gli elefanti, ai quali tutti s’inchinano per la loro possanza, le bestioline più piccole, i predatori e le prede. Tutti coabitano in un regime di tregua vigile, perché la siccità li obbliga ad attingere per la sopravvivenza ad una comune riserva d’acqua. L’anomalia è il cucciolo d’uomo, inventivo come la sua specie (gli animali definiscono“trucchi” le sue capacità) ma perfettamente inserito nel regno animale. Finché la temibile e vendicativa tigre Shere Khan, sfregiata da un umano con il “fiore di fuoco”, cioè il fuoco, ordina che Mowgly torni tra quelli della sua specie, pena ritorsioni sui lupi. Il ragazzino non capisce perché debba lasciare quella che ritiene la sua comunità ma deve obbedire. Nel percorso verso la scoperta di un altro mondo gli fanno da mentori la pantera nera Bagheera e il giocoso orso scansafatiche Baloo. Ma incontrerà anche il pitone incantatore Kaa e soprattutto il Re delle scimmie, che governa il suo popolo chiuso nei ruderi di un vecchio tempio. Il re delle scimmie è scaltro, promette a Mowgli protezione se gli porterà il “fiore rosso” detenuto in esclusiva dagli uomini, perché sa che il fuoco gli permetterebbe di dominare gli altri animali. Si resta sorpresi perché nel Re delle scimmie è riconoscibile (a chi abbia qualche dimestichezza con il regista Coppola) una versione a quattro zampe del Kurtz di Cuore di tenebra, personaggio inquietante e metaforico che Marlon Brando interpretava in Apocalypse Now. I tipi come Kurz hanno sempre a che fare con la perdita dell’innocenza. Così, il fuoco finirebbe per minacciare la sopravvivenza della giungla, se non fosse per l’intervento degli elefanti.
La forza del branco, la ricerca (spesso frustrata da malintenzionati) di un equilibrio pacifico, l’ineluttabilità di affrontare l’età adulta, la caratteristica umana di mediare tra natura e cultura veicolano anche un discorso ambientalista. Ma non superficialmente buonista. Perché le insidie non vengono solo dall’uomo e dalla civilizzazione (basti pensare al mito di Prometeo e del fuoco) ma anche dagli animali che combattono furiosi.
Dal punto di vista della realizzazione tecnica, il film affianca ad un solo personaggio in carne e ossa, il piccolo e coinvolgente Neel Sethi di origine indiana, tutti gli animali realizzati in computer grafica, perfetti persino nei peli, che parlano con i movimenti del labiale e alle caratteristiche della singola specie abbinano tratti caratteriali di ogni personaggio. La ricostruzione in computer grafica degli scenari è pure affascinante. La giunga è realistica, misteriosa, pericolosa, persino cupa; assolata o battuta dalla pioggia, verticalizzata o esplorata nell’intricata profondità.
La regia ha grande ritmo e l’action è da thriller emozionante. Grandi nomi come doppiatori. Sia nella versione originale, con Ben Kingsley, Bill Murray, Christopher Walken, Idris Elba, Scarlett Johansson; sia in quella italiana, che schiera Tony Servillo (la pantera Bagheera), Neri Marcorè (l’orso Baloo), Giovanna Mezzogiorno (il pitone incantatore Kaa), Violante Placido (la lupa madre adottiva di Mowgli) e un impagabile Giancarlo Magalli come Re delle scimmie.
In questo film sorprendente e quasi perfetto emerge solo un piccolo neo. Forse frutto di eccesso di zelo. Per rendere omaggio a Il libro della Giungla originale del 1967, ne vengono riprese (a scopo “effetto nostalgia” per gli spettatori di allora) due canzoni famose, riarrangiate in modo jazzato ma totalmente estranee a questa versione non scanzonata e molto più adulta.