Il diabolico e misterioso Don Giovanni di Molière è diventato un sessuomane, cinico violentatore seriale dei giorni nostri

MILANO, mercoledì 30 gennaio ► (di Paolo A. Paganini) Senza scrupoli né timor di Dio, ipocrita, mentitore, cinico seduttore, dispensatore di promesse di matrimonio, inesausto cacciatore di sempre nuove conquiste, vizioso e gran peccatore. Parola di Sganarello. Che ben conosceva le spericolate imprese amorose del suo padrone, Don Giovanni, così com’era uscito, nel 1665, dalla penna di Molière, che si era ispirato al “Burlador de Sevilla” (1630) di Tirso de Molina. “Burlador”, scherzoso, si fa per dire, per indicare un “ingannatore”.
Di questo ateo dispregiatore di ogni virtù morale e religiosa, s’è ora interessato Valerio Binasco, che prende le distanze dal tipico libertino del Settecento, dedito sopratutto a un gaudioso ed eternamente insaziabile erotismo. “Ho deciso di lasciar perdere il Cavaliere spagnoleggiante della prima tradizione, così come la figura vampiresca e tardoromantica che fu cara agli intellettuali del secolo scorso”, dice Binasco.
Così, il regista, lontano dai lontani modelli del passato, ma soprattutto dalla tragica, irridente pièce satirica di Molière, s’è guardato intorno ed ha trovato, senza troppa fatica, modelli nella nostra realtà.
In altre parole, un simile bellimbusto, con tutti i caratteri blasfemi, spregiudicati e peccaminosi, che abbiamo visto più sopra nel primigenio Don Giovanni, oggi come sarebbe? Beh, un simile smodato e incontinente vizioso dovrebbe farsi curare la propria insaziabile sussuomania. O forse, molto più semplicemente, verrebbe considerato un irrecuperabile delinquente seriale, violentatore, sfregiatore d’ogni legge umana e divina, soprattutto d’ogni pudore, ritegno e virtù femminile. Un invasato di sesso. Un rapinoso godimento, e via andare.
Con questo semplice paradigma di caratteri primordiali, Binasco ha messo in scena il “suo” Don Giovanni, al Piccolo Teatro Strehler (due tempi di un’ora ciascuno), tutto poggiando su uno spicciolo e beffardo puntello filosofico d’un Don Giovanni contemporaneo, che confessa, come unica sostanza morale d’una vita sciagurata: “Quando amo una donna, mi sento in colpa nei confronti delle altre donne“. E così, fattane una, avanti con la successiva, e così via, per non sottrarre alle altre il prezioso “bene” (qui, con una semplice allitterazione, ci starebbe benissimo un altro termine) delle proprie virtu virili.
Imperterrito e indifferente, sfida ire di padri, vendette di fratelli, sanguinarie reazioni di mariti. E, intanto, sempre infoiato, seduce monachelle, deflora verginelle, insidia contadinelle, circuisce spose timorate.
Esagerato.
Tanto da diventare, nelle abili mani registiche di Valerio Binasco, la maschera mancante d’una vecchia commedia dell’arte. Che non sarebbe potuta esistere tra Pantaloni e Colombine, tra innocenti Spacconi e Rodomonti, tra Rosaure e Truffaldini, tra furbe “servette”, vecchi barbagianni, bavosi vegliardi, vanesi cicisbei, avidi profittatori, esaltati spaccamontagne.
No, per i giorni nostri, bisognava inventare una maschera assolutamente diversa: un novello “burlador” capace di ogni violenza, mentitore, ipocrita, cinico, ateo, blasfemo, che tutto sfida. Ridendo. Sfida le borghesi virtù dell’umanità. E ride. Sfida il Signore Domine Iddio. E ride. Sfida i segni premonitori del Cielo o della natura. E ride. Sfida gli inferi. E muore ridendo, senza più le antiche fiamme, fra le braccia del suo Convitato di Pietra, la Statua del Commendatore. Una morte che non lascia rimpianti, né in donne, né in uomini, mariti, amanti, padri, fratelli. L’unico a lamentarsi della perdita è il servo Sganarello, che geme: E me ora chi mi paga? Sipario.
Sganarello (Sergio Romano), pur con qualche sbavatura, è una specie di moderno Sancho Panza, tra il servo, il segretario galante, saggio, prudente, opportunista, ruffiano, per motivi di sopravvivenza, ma critico e conscio delle malefatte del padrone. Nell’allestimento di Binasco, è il personaggio più riuscito, convincente e interessante.
Il pur bravo e generoso Gianluca Goppi, entra nei panni vagamente punk di Don Giovanni con bella padronanza, anche se si muove solo su due limitanti stereotipi interpretativi: da una parte l’aspetto irridente, cialtronesco e beffardo; dall’altra, l’ipocrisia seduttiva di un’untuosa umiltà con i forti e di una spavalda arroganza con i deboli, che tanto piace alle sue vittime, e non sappiamo perché. Ma tante volte ce lo chiediamo, ogni giorno, assistendo a tante povere donne, amanti, spose e figlie, maltrattate e violentate da uomini brutali, senza scrupoli né timor di Dio. La cronaca qui non c’entra. Ma l’allusivo riferimento forse c’è nella regia di Binasco, che, in una audace ma temeraria trasposizione, ha scartato leziosaggini o compiaciuti estetismi. Ma, con ciò, ha pure tolto fascino e mistero all’ambigua e imperscrutabile anima del Don Giovanni molieriano.
Convinti e cordiali applausi alla fine per tutti.

“Don Giovanni”, di Molière. Regia Valerio Binasco. Con (in ordine alfabetico): Vittorio Camarota, Fabrizio Contri, Marta Cortellazzo Wiel, Lucio De Francesco, Giordana Faggiano, Elena Gigliotti, Gianluca Gobbi, Fulvio Pepe, Sergio Romano, Ivan Zerbinati. scene Guido Fiorato. Musiche Arturo Annecchino. Produzione Teatro Stabile di Torino. Al Piccolo Teatro Strehler (Largo Greppi, Milano). Repliche fino a domenica 10 febbraio.

Informazioni e prenotazioni 0242411889
www.piccoloteatro.org

TOURNÉE
– 12 / 13 febbraio, Teatro LAC, Lugano;
– 15 febbraio, Teatro Il Maggiore, Verbania;
– 19 febbraio, Teatro Fabbri, Vignola (MO);
– 21 / 24 febbraio, Arena del Sole, Bologna;
– 26 / 28 febbraio, Teatro Nuovo Giovanni da Udine, Udine;
– 7 / 10 marzo, Teatro Metastasio, Prato.