Il difficile ruolo di mogli amanti e madri. Dopo quarant’anni vediamo le loro figlie. Realizzate? Macché, sempre infelici

MILANO, venerdì 3 febbraio ► (di Paolo A. Paganini) Lo straordinario, affascinante, imperscrutabile universo femminile. È in scena al Teatro Manzoni, con la commedia “Due partite”, di Cristina Comencini, dopo dieci anni dalla prima edizione (nuovo cast, nuova regia). La filosofia drammaturgica è rimasta uguale. Poco è cambiato nel destino delle donne. L’amaro sottofondo, non troppo sotto, è la disgrazia di essere donne: il fatale destino di partorire con dolore, di soffrire amori infelici, di avere a che fare con uomini, mariti o amanti che siano, vacui, farfalloni, inaffidabili, mezze cartucce, di essere condannate alla vita domestica, di dover rinunciare al lavoro e alla carriera per crescere i figli e attendere le voglie notturne dei compagni. C’è da piangere. Ma si ride. Un po’ per celia un po’ per non morir. Ma un bel dì vedremo che cosa succederà.
Vediamo dunque.
Siamo negli anni Sessanta. Quattro amiche della buona borghesia, interpretate da Giulia Michelini, Paola Minaccioni, Caterina Guzzanti, Giulia Bevilacqua, si ritrovano come sempre, tutti i giovedì, a fare una canasta a casa di una di loro. Intanto, le loro bambine, nella camera accanto, si fanno i fatti loro. Più che una canasta è un pretesto per sfogare angosce e frustrazioni. Una vive senza amore fra due case, una con il marito e una con l’amante. Una seconda divide invece il marito con un’altra. Una terza ha dovuto rinunciare alla carriera di pianista, perché tra la casa e l’arte deve pur scegliere il suo “inevitabile” destino di donna, cioè fare la casalinga, la moglie e la madre. La quarta e ultima è incinta al nono mese, ed è terrorizzata dal parto, non più di quanto non lo sia sentendo le “tragiche” esperienze delle amiche.
E tutte parlano, e piangono, e ridono, e si pungono, e si consolano, e si abbracciano. In fondo essere donne non è proprio una disgrazia, quando c’è una solidarietà, una complicità ch’è solo femminile.
E passano gli anni. Dopo quattro decenni, le figlie di quelle quattro amiche, quelle insomma che giocavano nella stanza accanto, si ritrovano in occasione del funerale della madre di una di loro…
Rispetto alle madri di allora, queste figlie lavorano, hanno un’indipendenza, si sono realizzate.
Niente da fare. Il tempo è passato invano. Sono anch’esse infelici come le loro madri, straziate da amori sbagliati, inappagate, insoddifatte, e più stanche delle loro genitrici, nevrotizzate dai doveri domestici e dagli impegni professionali.
Eppure si ride, perché queste straordinarie quattro donne, prima nel ruolo di madri, poi interpretando il destino delle figlie, sanno parlare, sanno mettere a nudo le loro anime, sanno mettersi in discussione, sanno misurarsi con la fatica di vivere. E sanno riderci su, perché adesso, come allora, come sempre, sanno essere complici e solidali. Ed è un piacere vedere, per un’ora e quarantacinque, queste quattro donne, magnificamente realizzate come attrici. Quando forse, in privato,anch’esse, come tutti, dovranno sopportare, con filosofia, un inevitabile fardello di stanchezze, di angosce e di rinunce.
Consensi gioiosi alla fine per tutte e quattro in scatenata gara di bravura, con molte risate, sorrisi e applausi anche a scena aperta,

“Due partite”, di Cristina Comencini. Regia di Paola Rota. Al Teatro Manzoni, via Manzoni 42, Milano. Repliche fino a domenica 19.