(di Marisa Marzelli) Il cinema di Ron Howard ha un cuore epico. Non importa che parli di un matematico schizofrenico (A Beautiful Mind, vincitore di quattro Oscar), di imprese spaziali (Apollo 13, con il famoso “Houston, abbiamo un problema…”) o della sfida all’ultima sgommata tra i piloti James Hunt e Niki Lauda (Rush, del 2013, un flop in patria perché tra gli americani la Formula 1 non è uno sport popolare).
Ron Howard – ex-Ricky Cunningham dell’indimenticata serie tv Happy Days – spazia tra le tematiche più disparate ma conserva sempre il gusto della narrazione tradizionale, semplice, in una parola: classica. Stavolta approccia uno dei capisaldi della letteratura americana, Moby Dick di Herman Melville. Risale alla fonte del capolavoro. Alla base c’è il libro di Nathaniel Philbrick Nel cuore dell’oceano. La vera storia della baleniera Essex (pubblicato nel 2000 e vincitore del National Book Award per la saggistica). Nell’800 dall’isola di Nantucket, nel Massachusetts, partivano le baleniere a caccia di cetacei per raccoglierne l’olio, allora prezioso come oggi il petrolio. La Essex fece naufragio nel 1820, colpita da una gigantesca balena, solo pochi uomini si salvarono dopo un’odissea di 90 giorni alla deriva. Il naufragio della Essex è un fatto storico e documentato.
Il film intercala al racconto marinaresco quello dello scrittore Melville (interpretato da Ben Whishaw). Questi, trent’anni dopo i fatti, si reca a Nantucket per farsi raccontare i particolari del naufragio dall’ultimo sopravvissuto, diventato ormai un vecchio ubriacone devastato da lugubri ricordi (Brendan Gleason). Mentre l’uomo ricorda con reticenza, prendono forma il veliero e le sue disgrazie. Rivive tutto un mondo che ruotava attorno all’isola e alla sua economia. Armatori capitalisti, ufficiali, marinai, la vita di bordo e poi l’incontro con la gigantesca balena che, date le sue dimensioni, se catturata potrebbe rendere tutti ricchi. In particolare è evidenziata nella prima parte la contrapposizione tra il capitano (Benjamin Walker), rampollo di buona famiglia destinato al comando ma poco esperto, e il primo ufficiale (Chris Hemsworth), capace e risoluto ma di famiglia umile e destinato perciò a una posizione subordinata. Ma anche questo scontro si stempera, e i due col tempo diventano amici. Dopo Capo Horn, nel Pacifico l’implacabile balena fa affondare la nave, si salvano in pochi su tre scialuppe. 90 giorni alla deriva e nel frattempo, per sopravvivere, gli uomini hanno mangiato i compagni morti di stenti e sono arrivati a tirare a sorte chi sarà il prossimo da uccidere e mangiare. Pare che anni dopo l’eroe dell’epopea, il primo ufficiale, sia stato riconosciuto insano di mente.
Alla fine Melville, preoccupato di non essere all’altezza dello scrittore Nathaniel Hawtorne, scrive lo storico incipit di Moby Dick “Chiamatemi Ismaele” (va ricordato che nel libro il Pequod salpa proprio dall’isola di Nantucket). Ma l’andamento del film suggerisce solo indirettamente riflessioni sull’ispirazione letteraria. Anche se la simbologia di Moby Dick fa riferimento a paure metafisiche dell’ignoto e dell’inconscio. Dato il momento in cui stiamo vivendo, Heart of the Sea attualizza il discorso ai danni che l’economia contemporanea provoca per l’ambiente e alla temuta (ma non da tutti) ribellione violenta della natura. Perché l’umanità continua a fare i suoi affari senza preoccuparsi di distruggere l’equilibrio precario dell’unico pianeta che abbiamo. Con buona pace delle conferenze internazionali sul clima e dei giapponesi che hanno deciso di riprendere la caccia alle balene.
Il film tocca però vari altri temi, dall’ambizione all’amicizia, la solidarietà, la tenacia, la divisione sociale in classi, la vita di mare, il tutto tenuto assieme da un solido racconto avventuroso vecchio stampo e dal ritmo pacato. La computer grafica che dà vita alla gigantesca balena non è finalizzata solo alla spettacolarità ma gioca di vedo-non vedo con lo spettatore. Il pericolo c’è, è incombente ma a volte lo si dimentica, dovendo poi tornare a farci i conti. Proprio come i guasti al clima. Unica (inutile) concessione ai kolossal in stile cine-fumetti è l’uso del 3D, che scurisce molto l’immagine.
Forse proprio perché è un film più calmo e raffinato dei mordi e fuggi a cui ci hanno abituato i blockbuster, c’è il rischio che Heart of the Sea non incontri un immediato successo. Perciò la produzione deve aver deciso di fare uscire il film prima in Europa (sperando nei giudizi favorevoli) e solo una settimana più tardi negli States.
Il dono d’una narrazione semplice ed epica. Ron Howard non si smentisce. Ed ecco com’è nata la storia di Moby Dick
3 Dicembre 2015 by