MILANO, venerdì 5 novembre ► (di Antonio Bozzo) – Oggi, che abbiamo preso il vizio di chiamarlo “graphic novel”, ci pare strano utilizzare la parola “fumetto” – o addirittura la formula più poetica “nuvole parlanti” – per indicare i racconti di avventura, di guerra, d’amore, di cowboy e indiani, di giungle, di pirati, di grottesche vicende da commedia dell’arte, di erotismo più o meno palese, di fantascienza.
Eppure l’Italia, grazie a matite e sceneggiatori, grazie a editori lungimiranti, grazie a schiere di lettori affezionati, è una delle patrie delle “bandes dessinées”, come direbbero i francesi. Bene fa dunque Wow Spazio Fumetto di Milano (Museo del Fumetto, dell’Illustrazione e dell’Immagine animata, che apre in viale Campania 12) a organizzare la mostra “Fumetto. I comics made in Italy”, dal 6 novembre 2021 al 27 febbraio 2022.
Attraverso oltre 100 opere originali e più di 200 pubblicazioni, viene raccontata la storia del fumetto ideato e realizzato nel Belpaese. Storia non breve: il fumetto veniva consumato pure durante il fascismo (sia pure con eroi autarchici), per non parlare delle gloriose vignette sulla “Domenica del Corriere”.
Tra le tavole esposte – e scusate la banalità di un elenco – ci saranno opere di Hugo Pratt, Guido Crepax, Benito Jacovitti, Milo Manara, Franco Caprioli, Magnus, Giovanni Scolari, Sergio Toppi, Kurt Caesar, Cinzia Ghigliano, G.B. Carpi, Giorgio Cavazzano, Romano Scarpa, Silver, Umberto Manfrin, Gianni De Luca, Lino Landolfi, Emiliano Mammucari, Grazia Nidasio, Sto, Sandro Dossi, Ivan Manuppelli, Luciano Bottaro, Filippo Scozzari, Claudio Villa, Aurelio Galleppini.
Ci saranno copertine originali di album e le celebri strisce – recuperate persino dal “Corriere della Sera” e dalla “Gazzetta dello Sport” come supplemento, in nome della nostalgia – dei primi numeri di Tex, della premiata ditta Bonelli. Quei giornalini erano fatti a strisce non per uno studio di marketing, ma perché così l’Italia, appena uscita dalla guerra, risparmiava carta, bene preziosissimo che serviva prima di tutto alle tirature dei quotidiani, allora centro focale del dibattito e dello scontro politico.
Visitare la mostra è come stringere la mano a Corto Maltese, tornare monelli con Alan Ford e Superciuk, rubare diamanti con Diabolik, andare in guerra con le Sturmtruppen di Bonvi, cavalcare con Kit Carson, sognare conturbanti corpi femminili con Milo Manara, ridere con Lupo Alberto, entrare nella famiglia di Stefi, bere una camomilla con Cocco Bill e il suo cavallo Trottalemme, allungarsi all’impossibile con Tiramolla, bucare i muri come la fantastica Nonna Abelarda. E ancora: vivere nel terrore con Kriminal e Satanik, disegnati dall’impareggiabile Magnus (al secolo, Roberto Raviola, che formò con Luciano Secchi, in arte Bunker, una coppia d’oro del fumetto italiano).
Ma come stanno i comics italiani, oggi? Vendono? Sono in crisi? La Rete li ha resi obsoleti?
Neppure per sogno. I fumetti stanno bene.
Vengono più spesso venduti in libreria, in edizioni curate e costose, invece che nelle edicole (nelle poche edicole che restano, andrebbe detto). Se certi personaggi – come Tex, Mister No, Diabolik e i davvero vintage Piccolo Ranger, Capitan Miki e Bleck Macigno – sono abitudini di consumo dei lettori più anziani, altri – quali Dylan Dog, o le opere di Zerocalcare – hanno fatto breccia nel cuore dei ragazzi. Il settore, e lo confermerà la mostra di Milano, è vivace, pur se non ci sono più, e mai più torneranno, le vacche grasse di un tempo. Una cosa è però sicura: il genere fumetto è ormai da decenni, e per fortuna, totalmente accettato nelle stanze più snob della cultura tutta. Non era così, prima che Umberto Eco dedicasse un saggio a Steve Canyon, nel suo magnifico libretto – ormai quasi dimenticato – “Diario minimo”, uscito nel 1963, e che precedette di un anno “Apocalittici e integrati”. Quel saggio, di godibilissima lettura, come la “Fenomenologia di Mike Bongiorno” o “L’elogio di Franti” – anch’essi contenuti nel “Diario” di Eco – aprì la strada a una rivalutazione ai nostri giorni compiuta. Ci sono stati pure, negli anni, “Linus” fondato da Giovanni Gandini nel 1965 (nel primo numero interviste a Eco e Vittorini, mica pizza e fichi), Guido Crepax con la sua erotica Valentina, Oreste del Buono che tanto fece per la causa.
La Nona Arte, come con vezzosità viene chiamato il fumetto, fiorisce, dal Giappone all’Italia, passando per Stati Uniti, Francia e paesi del Sudamerica. Ma è appunto in Italia che ha un suo modo di essere particolare, che tratta ogni genere. Non particolare per bieco sovranismo, ma per intelligenza quasi rinascimentale degli autori. E questo, scusate se è poco, qualche pizzico di orgoglio ce lo regala.
La mostra e le attività correlate (laboratori didattici e un convegno) sono rese possibili dal contributo del Ministero della Cultura: importante segno di attenzione da parte di una massima istituzione per questo ambito.
Il fumetto “made in Italy”. Mostra a Milano, con più di cento opere originali. Una lunga storia, benedetta da Umberto Eco
5 Novembre 2021 by