MILANO, venerdì 1 febbraio ►(di Emanuela Dini) “Il gabbiano” di Cechov è uno dei testi più noti e rappresentati del teatro moderno, e dentro ci sono tutti i temi ricorrenti del teatro cechoviano e delle sofferenze esistenziali. C’è l’amore infelice, dove tutti amano qualcuno che non li ama e sono amati da chi non desiderano; l’insoddisfazione di una vita non realizzata, con il motivo ricorrente di “quello che avrei voluto essere e non sono diventato”; c’è la noia che attanaglia i ricchi borghesi, la vita nella villa di campagna e la voglia di partire verso la città; ci sono le rivincite delle classi più umili che guadagnano spazio e potere nei confronti dei borghesi – e chi poteva raccontarlo meglio di Cechov, nipote di un ex servo della gleba che aveva duramente pagato il suo riscatto dal padrone -; c’è il senso perenne e soffocante del fallimento, che insieme alla vacuità aleggia fatalmente sulle vite di tutti.
La storia ruota attorno a un gruppo di personaggi: una madre attrice di successo, fidanzata a uno scrittore leggiadro e frivolo; un figlio commediografo irriso e incompreso; una fanciulla aspirante attrice innamorata dello scrittore e amata invano dal ragazzo; uno zio burbero; un medico opportunista; un amministratore prepotente, mogli fedrifaghe e uomini inconsistenti a fare da contorno.
E analisi lucide e impietose, ma piene d’amore, per il teatro e la letteratura.
Vince su tutte la scena iniziale, quando tutti i personaggi sono nel giardino di casa, in attesa che inizi lo spettacolo scritto dal ragazzo, su un palco minimalista fatto di quattro pali e un lenzuolo: “Signori, vi presento il teatro. Sipario, palcoscenico e, al di là, spazio vuoto. Niente scene. La vista si apre direttamente sul lago e sull’orizzonte. Alzeremo il sipario alle otto e mezzo in punto, al sorgere della luna”. Tre righe per trasmettere una magia.
“Il gabbiano” è il primo dei quattro testi che Cechov scrisse per il teatro (gli altri sono “Zio Vanja”, “Tre sorelle” e “Il giardino dei ciliegi”) ed è un testo densissimo e impegnativo, dove c’è dentro di tutto, letteratura, teatro, ambizione, arrivismo, egoismi, avarizia, spregiudicatezza, rancore, annegati in una disperata visione della vita dove tutti sono dei perdenti.
La messa in scena al Teatro Carcano con la regia di Marco Sciaccaluga per il Teatro Stabile di Genova, è poderosa, rispettosa del testo – presentato nella versione del 1895, precedente alla censura zarista – e imponente nella sua durata di tre ore (due tempi con intervallo di 20 minuti).
Scenografia essenziale ed evocativa, il lago sullo sfondo, semplici impalcature che ricordano i capanni da spiaggia a raffigurare il teatro, il giardino e gli interni, grandi riflettori ben visibili in scena, a sottolineare il gioco del teatro nel teatro, bei costumi, luci azzeccate.
Bravissimi tutti gli attori, e una nota di merito particolare per Elisabetta Pozzi (la madre) e Stefano Santospago (lo scrittore), che dà il meglio di sé nel bellissimo monologo dove descrive il mestiere di scrittore.
Applausi convinti per tutti.
“IL GABBIANO”, di Anton P. Cechov. Con Elisabetta Pozzi (Irina Nikolaevna Arkàdina, attrice), Francesco Sferrazza Papa (Konstantin Gavrìlovic Treplev, suo figlio), Federico Vanni (Petr Nikolaevič Sorin, fratello di Irina), Alice Arcuri (Nina Michailovna), Roberto Alinghieri (Il’jaAfanas’evič Ṧamraev), Elsa Bossi (Polina), Eva Cambiale (Maṧa), Stefano Santospago (Boris Alekseevič Trigorin), Roberto Serpi (Evgenij Sergeevič Dorn), Andrea Nicolini (Semen Semenovič ), Kabir Tavani (operaio). Scene e costumi Catherine Rankl. Regia Marco Sciaccaluga. Produzione Teatro Nazionale di Genova. Repliche fino a domenica 10 febbraio. Al TEATRO CARCANO – corso di Porta Romana 63, Milano
www.teatrocarcano.com
Tournée
Torino, Teatro Carignano, dal 12 al 24 febbraio;
Genova, Teatro Della Corte, dal 26 febbraio al 3 marzo;
Bolzano, Teatro Comunale, dal 7 al 10 marzo;
Brescia, Teatro Sociale, dal 13 al 17 marzo;
Catania, Teatro Verga, dal 19 al 24 marzo;
Vignola, Teatro Fabbri, 26 marzo;
Modena, Teatro Storchi, dal 28 al 31 marzo.