Il lavoro non c’è più? L’amore è un ricordo? Le figlie se ne vanno? Mai dire mai. Soprattutto a 50 anni. Parola di Aurore

(di Patrizia Pedrazzini) Certo che le donne francesi sono proprio belle. Danno sempre l’impressione che non gliene importi niente di niente e di nessuno. Tanto loro, la forza, non la prendono da fuori : ce l’hanno dentro. Naturalmente libere e con una spiccata vocazione all’indipendenza, allergiche alle smancerie, sveglie e sempre sul punto di mandare a quel paese il mondo intero, neanche si curano granché dell’aspetto fisico, lasciando alle poverette che ne sono vittime il fatuo problema della bellezza. A loro bastano una ravviata ai capelli, un giacchino, un passo sicuro, e via (si chiama naturalezza, e ne sono maestre). E pazienza se con gli anni è venuta fuori un po’ di pancetta, mica passa da lì lo charme.
Sarà che le loro antenate hanno fatto la Rivoluzione, per cui si ritrovano a discendere da quelle scapigliate in cuffietta che sferruzzavano sedute intorno alla ghigliottina: ogni tanto un’occhiata alla testa che rotolava nel cesto e poi sotto, di nuovo a far la maglia.
In “50 Primavere” (titolo originale “Aurore”), della quarantaquattrenne Blandine Lenoir, di donne francesi ce ne sono almeno quattro: Aurore, appunto (una strepitosa Agnès Jaoui), la protagonista, cinquantenne divorziata alle prese con le vampate della menopausa e con la necessità di avere, comunque, un lavoro; l’amica del cuore Mano, un tipino a dir poco originale che si diverte, quando si imbatte in una coppia che non le piace (lei molto più giovane di lui), a improvvisare scenate di gelosia all’uomo di turno, mandando in crisi il rapporto fra i due malcapitati; Marina e Lucie, le due figlie di Aurore, una incinta, l’altra innamorata, che in nome dei sentimenti se ne andranno con i loro uomini, ma solo per tornare, di lì a poco, alla più sicura e confortante casa della madre.
Anche Aurore, però, ha un amore: si chiama “Totoche” (un tenero Thibault de Montalembert), avevano avuto una storia ai tempi del Liceo, poi lei lo aveva lasciato, ma lui (che nel frattempo è diventato medico e, guarda caso, è l’ecografista della figlia incinta) non l’aveva mai dimenticata. Si rivedono per caso, si capisce che non è mai finita, ma lui non vuole più soffrire, e allora lei si mette con un altro, però non gliene importa nulla… Finale senza sorprese, e soprattutto con corsa ansiogena sul filo del tempo, l’uno incontro all’altra, dei due innamorati.
Leggero, autoironico, svelto, ottimista, “50 Primavere” non si limita a regalare 89 minuti di piacevole commedia francese. È anche, e soprattutto, un film che grazie a una regia intelligente, sensibile e schietta (e a un’interpretazione assolutamente all’altezza), riesce a trasformare una storia che più comune non si può in una vicenda quanto meno singolare. E il merito è tutto di Aurore, della sua luminosità, del suo mix di eleganza e dignità. Che lo stesso giorno nel quale la figlia le dice di essere incinta, perde anche il modesto lavoro di cameriera. Ma che a tutto si adatta pur di lavorare, e ogni momento di quel “tutto” le torna in conforto, sorrisi, amicizia. Come quando, mentre sta spingendo con lei il carrello delle pulizie, una collega tunisina le fa notare come le donne bianche avvertano di essere discriminate solo quando non sono più giovani: “Pensa se fossi anche nera e musulmana, allora sì che saresti nei casini!”.
Ma “50 Primavere” è anche un film sull’amore. Che ridà alla cinquantenne Aurore il piglio e il coraggio dell’adolescenza, la voglia di ridere e di rimettersi in gioco, di non sentirsi, e di non farsi sentire, finita. Rifiutando di vivere l’allontanamento delle figlie come una perdita, o di farsi sconvolgere la vita dal cambiamento.
Un sano invito alla “joie de vivre”. Perfetto per chi ha paura di invecchiare.

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